Bullismo, come spezzare la catena delle umiliazioni

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Marta ha 12 anni e frequenta le scuole medie. Il nome è di fantasia ma i suoi racconti fanno eco a quelli di molti altri ragazzini della sua età, vittime di bullismo. «Nella mia classe c’è una bulla con le sue amiche… mi insultano e mi offendono in continuazione, mi prendono in giro perché non sono magra, durante le lezioni mi passano bigliettini con offese e cose non vere su di me…». “Ma sono anche manesche … succede anche che andando in palestra mi diano degli schiaffi e mi facciano cadere… o facciano a gara a sporcarmi i vestiti, dicendo che tanto non sono alla moda e che almeno non li indosserò più … mi perseguitano, anche la strada verso casa è un tormento…”. “Io ci provo a difendermi… ma sono una contro quattro e non ci riesco. Piango, mi viene la rabbia e ho tanta voglia che tutto finisca… sto molto male … gli altri guardano, ridono, si girano dall’altra parte come se niente fosse… e così mi sento sempre più sola e mi vergogno di come sono e di quello che mi sta capitando… è sempre più difficile tornare in classe».

Di bullismo si parla molto, non sempre in modo chiaro e preciso. Lo si confonde con lo scherzo, con il vandalismo, con l’estorsione, con il sexting, con la violenza episodica, mentre il bullismo è prima di tutto ripetitività e umiliazione, come la storia di Marta ben rappresenta. L’obiettivo di chi mette in atto comportamenti da bullo non è quello di “farsi dare del denaro”, come più volte si legge sui giornali, ma di acquisire potere su un’altra persona. Lungi dall’essere una dinamica conflittuale tra duellanti ad armi pari, il bullismo è una vera e propria forma di maltrattamento nella quale un singolo cerca di acquisire potere agli occhi di un gruppo – vetrina per l’io – avvantaggiandosi delle vulnerabilità altrui.

Non riguarda dunque solo il bullo e la vittima, come molti erroneamente credono (“via il bullo, via il problema”): la dinamica del bullismo coinvolge l’intero contesto scolastico e un gruppo esteso che, oltre al bullo, comprende i gregari e gli osservatori. Il bullo dominante è generalmente più forte della media dei coetanei e della vittima in particolare, poco empatico e altruista, spesso tutt’altro che impopolare nella scuola (magari perché abile negli sport), con un forte bisogno di dominare e sottomettere. Gli si affianca generalmente il bullo gregario che, pur non prendendo iniziative, rinforza il comportamento del dominante o asseconda i suoi “ordini”, nella speranza di migliorare il proprio status. Alcuni dunque incoraggiano direttamente il bullismo, anche solo sorridendo o riprendendo con il cellulare; altri si limitano a guardare, i cosiddetti bystander, non sapendo che la loro presenza è implicitamente complice e che il loro silenzio costituisce un potente “rinforzo” per il bullo. Nella loro mente scorrono pensieri come: “Forse Marta non ha bisogno di aiuto…”, “Spero che qualcun altro intervenga… “, o ancora “Se gli altri non intervengono perché dovrei farlo io?” o “Se intervengo e poi prende di mira anche me?”, “In fondo Marta non è mia amica…” . L’esito di questo processo gruppale è che la vittima si sente non solo umiliata, derisa e perseguitata, ma anche rifiutata, isolata ed esclusa. La sua battaglia quotidiana è duplice, si divide tra il desiderio di evitare le offese e quello di essere accolta, accettata, parte di un gruppo. Nei racconti delle vittime, espressioni quali “mi sento trasparente” e “sono invisibile” compaiono di frequente. Tra i ricordi più dolorosi c’è: “a nessuno importava di me” (“Alla fine non ci ricorderemo le parole dei nostri nemici – diceva Martin Luther King – ma il silenzio dei nostri amici”).

Il bullismo, poi, emerge più facilmente all’interno di contesti scolastici nei quali prevalga l’individualismo, autoritari, orientati alla performance e caratterizzati da una forte competitività. La logica della prestazione, dell’efficienza e dell’accelerazione non solo generano una spinta all’esclusione di chi non è al passo con gli altri, ma in qualche modo la giustificano.

In quanto fenomeno relazionale, di gruppo e contestuale, il bullismo non può essere adeguatamente affrontato solo attraverso metodi repressivi e punizioni esemplari rivolte al bullo. I modelli di intervento più efficaci evidenziano la necessità di sviluppare azioni ad ampio raggio, tese a promuovere un clima relazionale positivo e processi di inclusione.

Diversi studi – che hanno già guidato alcune interessanti esperienze nelle scuole italiane – indicano che, oltre a sviluppare regole chiare contro il bullismo, la scuola dovrebbe supportare i propri insegnanti nel prestare maggiore attenzione alle dinamiche presenti nella classe: quali bambini/adolescenti “fanno gruppo”? Quali sono leader positivi e quali negativi? Quali sono più spesso marginalizzati ed esclusi? In che modo poter favorire l’inclusione e l’accoglienza di tutti?

Nell’ambito della prevenzione, è di grande interesse Wellbeing Five, intervento ideato dall’associazione australiana ReachOut Schools e focalizzato sulle dinamiche di gruppo, che parte proprio da questa domanda: where do I feel I belong? Dove sento di appartenere? Come deve essere una scuola cui sentiamo di appartenere? Come deve apparire? Cosa vorremmo provare a scuola? Il lavoro in classe continua con attività sul tema dei valori, sulle connessioni esistenti tra compagni, sugli atti di gentilezza; offre poi strumenti specifici per contrastare il bullismo quando lo si vede, per individuare con chi parlare in caso di necessità e prendersi cura di se stessi quando si è vittime, imparando a regolare le proprie emozioni e a calmarsi.

I modelli più efficaci, insomma, suggeriscono di allargare il focus dai singoli –  bullo e vittima – e ragionare maggiormente in termini di gruppo e di contesto. Ci aiutano a non chiuderci negli spazi stretti e angusti della repressione, invitando a riflettere sui valori che trasmettiamo, sulla nostra idea di potere, su cosa intendiamo per solidarietà. In molte classi, ad esempio, emerge che molti bambini confondono rispetto, amicizia e aiuto. Sarà importante, dunque, a scuola e in famiglia, riprendere in mano la sfida di insegnare che il rispetto e l’aiuto non si offrono solo agli amici, a quelli che ci piacciono e ci stanno simpatici. Entrambi vanno sempre donati e mai guadagnati.