Quando andavo al liceo, la mia insegnante di latino e greco diceva che non si meravigliava più di niente. Eravamo a metà degli anni Novanta, era finita la Prima Repubblica e con essa i partiti, c’era stata tangentopoli e l’ascesa di Silvio Berlusconi. E mentre una parte della società si scopriva improvvisamente vulnerabile, la mia professoressa ci offriva un inedito (almeno per noi adolescenti) punto di vista. «Dopo aver studiato la letteratura greca e latina io non mi stupisco più di nulla – affermava – perché ogni sentimento dell’animo umano, anche gli istinti più bassi, le passioni segrete o le peggiori nefandezze sono state già descritte nel passato nel migliore dei modi che si poteva. Tutto quello che succede al giorno d’oggi, è una solo una triste ripetizione di un copione già scritto». Ovviamente non usò queste precise parole, ma il senso era esattamente quello.
Mi è tornata in mente la mia professoressa di latino e greco, quando ho letto dell’Eracle di Euripide, in scena fino al prossimo 23 giugno, per la regia di Emma Dante. La rappresentazione della tragedia fa parte del 54° ciclo di rappresentazioni classiche in programma al Teatro greco di Siracusa, allestito dalla Fondazione INDA (Istituto Nazionale del Dramma Antico) non è come tutte le altre. È una rivisitazione con un cast al femminile, in cui la regista mette in evidenza la fragilità umana, non necessariamente rappresentata da un corpo virile, rovesciando così tutti i canoni del teatro greco antico che vedevano i ruoli femminili interpretati da uomini: «Cosa succede se una femmina incarna l’eroe, rappresentando la sua potenza e la sua fragilità con l’armonia nei fianchi e la durezza nello sguardo? – afferma la regista – Cosa succede se il maschio-eroe del mito diventa bianco e lieve come una nuvola? In Eracle mi interessa la fragilità, perché non è la forza né il potere a renderlo virile. È la sua anima e il suo coraggio a fare di lui un essere umano, non certo i suoi muscoli».
Eracle è interpretato da Maria Giulia Colace, Anfitrione da Serena Barone, Megara da Naike Anna Silipo, Lico da Patrizia Zanco. Le musiche sono composte dalla musicista palermitana Serena Ganci e da Marta Cammuscio, mentre la traduzione è stata curata da Giorgio Ieranò.
«Penso a un gioco teatrale con regole nuove – aggiunge la Dante – mi allontano dall’antichità, delle forme canoniche e invito un cast al femminile di ricoprire tutti i ruoli senza distinzione di genere, così come i greci giocavano a interpretare le donne in scena. Penso a una comunità androgina, dove il potere viene fatto a pezzi e sostituito dal candore dell’infanzia, dalla purezza. Penso al rapporto tra la donna e il mito in cui stavolta è la donna a misurarsi con la leggenda»
Tutta qui la modernità? In una visione inedita? Non proprio e non solo. Chi è Eracle? Eracle era impegnato in una delle sue fatiche, quando Tebe venne usurpata da Lico. Tutto sembra perduto, la moglie Megara e i suoi figli sono minacciati di morte, così come l’anziano padre Anfitrione. All’improvviso, fa ritorno Eracle che accecato dall’ira uccide Lico. Era, però, moglie di Zeus, che non nutre affatto simpatie verso Eracle, gli invia Iris, la sua messaggera, e Lissa che rappresenta la Rabbia, con lo scopo di farlo completamente impazzire. Così si compie la volontà di Era: credendo che i suoi figli fossero di Euristeo, che gli aveva imposto le celebri fatiche, Eracle li uccide senza pietà insieme alla moglie Megara, in preda al furore divino. Solo Anfitrione viene risparmiato, grazie all’intervento salvifico di Atena. Quando Eracle si risveglia, in preda all’amnesia, legato ad un tronco, comprende il misfatto e pensa al suicidio, ma l’amico Teseo riesce a persuaderlo che la sua più grande prova – dopo le numerose fatiche che aveva già affrontato – sarà quella di convivere con questo immenso dolore.
Da semidio a individuo fragile, inerme, soggetto alle passioni e agli istinti più biechi. «Il senso della tragedia è proprio questo – spiega Andrea Di Gregorio, traduttore – l’ineluttabilità del destino, la volontà degli dei, cui nessuno può sottrarsi. Neanche uno come Eracle che alla fine compie un misfatto tremendo, sebbene ingannato dalle messaggere di Era, da un lato involontariamente, ma dall’altro contemporaneamente consapevole. Dal punto di vista del teatro e della rappresentazione, in fondo, non conta il sesso, bensì la condizione umana che in Euripide possiede una contemporaneità quasi sconcertante. I protagonisti sono sempre persone onorevoli, oneste, nobili, apprezzate e con una buona considerazione, come del resto lo era proprio lo stesso Eracle. E quante volte abbiamo sentito dire il classico commento “Ah, era per una persona per bene”in riferimento a casi di cronaca molto simili a questi narrati? Ciò fa sembrare tutto ancora più atroce e attuale».
Euripide mette in piedi un apparato straordinario di passione, violenza, odio, amore. La sua vicenda, sebbene declinata nel V secolo a.C., richiama drammaticamente quanto la cronaca dei giorni nostri ci riporta in una triste contabilità. È individuale e allo stesso tempo universale. E ho realizzato tutto ciò, comprendendo appieno il senso di quelle parole che si sono rivelate straordinariamente profetiche. A certi eventi, forse ci stiamo davvero abituando.