“Perché mi devo per forza reinventare, perché non ho il diritto di fare quello per cui ho studiato e sudato? Quelli che cambiano professione non mi sembrano modelli da seguire”.
Negli scorsi mesi ho raccontato per Alley Oop storie di precari 30-40enni. Alcuni si sono messi in gioco in una professione totalmente nuova, spinti dagli eventi esterni oppure dalle attitudini personali. Spesso i commenti che seguivano questi racconti palesavano rabbia e resistenza a questo modo di affrontare la realtà, come nel caso delle parole di Mara riportate qua sopra. Un sentire comune comprensibilmente esasperato.
I precari 30-40enni, sottopagati e iperformati, sono combattuti tra due fuochi: cedere alla deprofessionalizzazione, e sappiamo che in Italia 1 laureato su 3 ha accettato un lavoro in cui le competenze della laurea sono inutili; oppure resistere, continuare a firmare contratti a tempo o accettare forme di collaborazione ai limiti della legalità. Limiti che si spingono sempre più in là e non verso la protezione del lavoratore. Poi c’è chi di fronte a questa esasperazione sceglie di cambiare rotta e dedicarsi a una nuova professione. Non una soluzione per tutti, ma una delle due facce della medaglia.
L’attuale mercato del lavoro è pervaso da incoerenze e paradossi, e a farne le spese è soprattutto la generazione dei 30-40enni, in totale balìa di un sistema che la tiene “sotto scacco”, come ha efficacemente espresso Mario Morcellini in una intervista ad Alley Oop. È necessaria e urgente una presa di coscienza di questo problema da parte della classe politica, l’adozione di misure che tutelino coloro a cui sono state tolte una alla volta le garanzie per una vita socialmente felice. Su questo siamo tutti d’accordo.
Nell’attesa di un segnale, tra una resistenza nella completa frustrazione e la rivoluzione di una nuova professione, può esistere una terza via? Un modo per rimettere in gioco curriculum e competenze cercando di ottimizzare il proprio percorso e renderlo appetitoso per un’azienda? Un modo per ripensare la propria professione alla luce delle richieste del mercato del lavoro?
Ho posto queste domande a Elisa Zonca, Career Advisor di Randstad e manager del progetto Youth@work, la divisione Randstad dedicata all’orientamento dei giovani. “Il mercato del lavoro sa dove sta andando”, afferma Zonca “è come il banco che vince sempre. Per cercare lavoro è importante liberarsi dai preconcetti e leggere la realtà. Mi piace pensare alla giraffa che per raggiungere le foglie più succose si è fatta allungare il collo. L’adattamento nella teoria evoluzionistica non è accettazione passiva, è piuttosto una forma di dinamismo, l’adozione di una soluzione inedita e sorprendente”.
Ovviamente non c’è una ricetta o una procedura per trovare il lavoro perfetto. Zonca ha proposto tre suggestioni, indicazioni generali per provare ad attuare “la strategia della giraffa”.
1. Allargare il proprio sguardo. Gli annunci di lavoro sono solo la punta dell’iceberg e offrono una visione limitata alle professioni più tradizionali e i macrosettori produttivi. Esiste poi un mercato sommerso in cui si trovano le numerose professioni nuove, specializzate, le microimprese, i settori di nicchia e in crescita. Si tratta dell’oceano blu, una metafora descritta da W. Chan Kim e Renèe Mauborgne. La maggior parte delle persone cerca lavoro nell’oceano rosso, piccolo e sovrapopolato, dove la concorrenza è spietata. L’oceano blu invece è uno spazio inesplorato in cui le occasioni sono più sommerse, diversificate. Per inciso, l’Istat individua l’esistenza di più di 4000 professioni. Pur conoscendone 500 e ritenendone inaccessibili per titoli e interessi fino a 2000, ne resterebbero comunque 1500 inesplorate. Zonca afferma: “A volte ci si incaponisce a tutti i costi su una certa professione, un certo ruolo. Fino a quando non si raggiunge un obiettivo si pensa che lì si nasconda la felicità. Ma se un tempo la prospettiva era di cominciare un lavoro e farlo fino alla pensione, oggi le cose sono molto diverse. La carriera non è solo verticale, ma anche orizzontale e non sempre nella stessa azienda. Per questo anche nella ricerca del lavoro bisogna essere disposti a individuare posizioni nuove e diverse e farsene affascinare”.
2. Riscoprire le proprie competenze. Oltre alle competenze tecniche oggi sappiamo quanto siano importanti le soft skills per le aziende. Ma in un buon bilancio di competenze non si possono omettere anche i propri personali valori e interessi, fondamentali per individuare i margini di una comfort zone nella vastità del mercato del lavoro. Zonca afferma: “La stabilità per una persona non è una forma contrattuale, ma lo stare bene. Le aziende oggi sanno quanto sia importante che i loro dipendenti stiano bene e amino quello che fanno, perché lavorano meglio. Tanto che le aziende più illuminate usano il welfare per trattenere e motivare i talenti. Per questo anche nella ricerca del lavoro diventa importante tutto ciò che rappresenta la felicità per quella persona. Il bilancio di competenze è per una persona come il business plan per l’azienda, che è sempre aperto ed è fondamentale per orientare le scelte”.
3. Creare e potenziare una rete di relazioni. Sono utili ad esempio i focus group con altre persone che cercano lavoro, come i Job Club ideati da Riccardo Maggiolo, che si basano proprio sul fatto che una efficace rete di informatori gioca il ruolo decisivo nel trovare le occasioni lavorative giuste. Dalle semplici “antenne”, che possono fornire informazioni generiche sull’ambito di interesse, a chi invece riveste un ruolo specifico e può essere disponibile per un’intervista. La direzione finale è realizzare un piano di fattibilità in cui le competenze si avvicinino il più possibile al ruolo individuato, o divenga chiaro se manca un’integrazione formativa. Studiare ancora? Sì, dice Zonca: “La formazione è continua, anche in azienda. Le possibilità sono tante: dai MOOC agli ITS. Una volta individuata la lacuna, piccola o grande che sia, anche nel caso di una direzione più tecnica rispetto alle scelte precedenti, una formazione orientata bene è una possibilità sempre aperta”.
A ben guardare i consigli di Zonca sono più che una strategia di sopravvivenza. Si tratta fondamentalmente di un processo di autodeterminazione: cercando le risorse latenti, può emergere un potenziale insespresso e inevitabilmente cambia il punto di vista su risultati e aspettative. Come per la giraffa, in fondo, che allungandosi a cercare le foglie più alte, ha scoperto una visione totalmente nuova del territorio che credeva di conoscere.