In Tre Camere a Manhattan (Adelphi – edito la prima volta nel 1946), Georges Simenon (il celebre scrittore ben più conosciuto per la saga di Maigret) pubblica uno dei romanzi, a mio parere, più belli e sconcertanti sull’amore. Francois e Chaterine, Frank e Kay, i due protagonisti, s’incontrano, si legano e vivono tutti i tormenti, le angosce e le passioni di un’intera vita d’amore. Una storia in parte autobiografica che si costruisce in tre luoghi diversi, come diverse sono le fasi dell’amore. Dopo l’incontro in un bar di seconda categoria i due finiscono, infatti, nella camera di un hotel, dove consumano una serata di passione e si scoprono soli, drammaticamente soli. È il ricordo di questa solitudine di cui sono intrisi i loro giorni insipidi a tenerli uniti, in un inspiegabile senso di appartenenza l’uno all’altro. L’hotel e il sesso sono il luogo simbolico in cui ci si rifugia per colmare il vuoto dell’anima. Una solitudine che li porta volersi conoscere, a frequentarsi, a cercarsi. L’appartamento di Frank e la casa di Kay sono teatro del progresso inarrestabile di questo amore; subentrano prima le emozioni, gelosia, paura del proprio trascorso, e affezione che sfoceranno nella consapevolezza del sentimento, del diritto e dovere di essere felici. In Tre Camere a Manhattan l’amore non nasce ma semplicemente si riconosce come perno essenziale del rapporto fra i due, come punto di incontro di due solitudini che si sono completate a vicenda in un quadro che finalmente ha preso forma e che consentirà loro di capire che non c’è separazione che tenga. Tre camere, tre luoghi metaforici dove l’amore percorre tre differenti fasi: l’avventura, la conoscenza e, infine, l’amore vero e proprio, in tutta la sua intensità.
E’ a questo romanzo che ho pensato quando Mark Zuckerberg, nella cerimonia di apertura di F8, l’annuale conferenza dedicata agli sviluppatori, ha annunciato la nascita del nuovo servizio per gli incontri di Facebook. Un servizio di dating che si affiancherà, che ce ne fosse bisogno o meno, a quelli già esistenti e ampiamente utilizzati come Tinder (dedicato essenzialmente agli incontri etero) e Grindr il suo corrispettivo gay. Lungi da me ogni valutazione etica sull’utilizzo o meno delle chat per incontri (sarebbe quantomeno ipocrita visto che ne ho fatto uso anche io) mi sono chiesto a quale delle camere di Simenon possa corrispondere questa nuova stanza virtuale. Potrebbe essere quella dell’avventura (ma pare che Zuckerberg abbia precisato che non sarà possibile scambiarsi foto “Vogliamo unire le persone, ma non sarà per relazioni di una notte”); oppure una stanza appartata, segreta, dove iniziare a conoscersi (sarà, infatti, possibile caricare eventi, gruppi e interessi sul proprio profilo, così da individuare chi ci è più affine). Potrebbero essere anche entrambe, in fondo credo che sia proprio quel senso di solitudine e di smarrimento di cui Frank e Kay sono vittime che ci porta alla ricerca, anche virtuale, dell’altro. Se è dunque chiaro che lo strumento potrebbe essere adatto al fine, mi trovo a rileggere alcuni passi del romanzo e, ciò che mi colpisce è l’intensità delle emozioni
“Che cosa avrebbe fatto se, al ritorno, avesse trovato la camera vuota? Quell’idea gli era appena balenata che già lo faceva stare male, e lo gettava in un tale stato di smarrimento e di panico che si voltò bruscamente per assicurarsi che nessuno stesse uscendo dall’albergo”.
O, ancora, dei sentimenti.
“Era come un gioco, un gioco molto eccitante. Quella era la terza camera in cui stavano insieme, e in ognuna di esse lui scopriva non solo una Kay diversa, ma nuove ragioni per amarla, e un nuovo modo di amarla”.
Può un incontro in un luogo non fisico dare vita a questa intensità? Senza un emozione intensa, senza uno scambio di sguardi, senza quell’urgenza che nasce dalla perdita del contatto fisico, si può riconoscere l’amore? Domande che restano sospese per quanto mi riguarda perché quando penso di avere la risposta sulla punta della lingua rimane proprio lì, immobile, e mi ritrovo mio malgrado a pensare che in un mondo così veloce, come quello che ci circonda, pieno di stimoli e di attività nuove da intraprendere, anche una risposta virtuale alle nostre esigenze potrebbe essere uno strumento importante per vivere le passioni. In fondo virtuale è sinonimo di ipotetico, possibile o, addirittura, probabile.