Il potere in politica: come sta cambiando e chi lo gestisce?

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Qualche tempo fa un mio contatto su Facebook cità una frase di Giovanni Spadolini (presidente del consiglio tra il 1981 e il 1982, per i più giovani) e commentò: quando parlava lui c’era sempre da imparare. Che fosse in politica, in finanza o nell’imprenditoria, le figure che si incontravano nelle pagine dei giornali di un paio di decenni fa erano “autorevoli”, incutevano “rispetto”, se non altro per i contenuti del dibattivo, la visione del futuro, le strategie, l’eloquio. Si stava meglio? Non loso. Ma a me manca ascoltare qualcuno da cui imparare, che mi faccia riflettere, che mi ispiri una visione del nostro futuro come Paese. Carenza di leadership? Questo forse sì. Intendiamoci: un leader non sta sempre dalla parte “giusta”, non stiamo parlando di questo.

Individuare modelli di leadership diventa sempre più complicato anche a livello internazionale (ma li si parla di modelli, non di carenza). In una riflessione sul tema Henry Timms (executive director, 92nd Street Y) e Jeremy Heimans (co-founder e ceo di Purpose) sottolineano ad esempio come sia difficile individuare un modello vincente, quando negli Stati Uniti a Barack Obama è succeduto Donald Trump alla presidenza. O se hanno tanta risonanza movimenti come #metoo che di figure leader sono privi, mentre al contrario si affermano leader “forti” come Putin o Erdogan.

Nel loro libro “New power” i due manager-autori mettono a confronto i paradigmi del vecchio potere e quelli del nuovo. “Il vecchio potere funziona come una valuta. È detenuto da pochi. Una volta acquisito, è gelosamente custodito, e i potenti ne hanno una consistente riserva da spendere. È chiuso, inaccessibile e gestito dal leader. Scarica e cattura”, scrivono. sottolineando poi: “Il nuovo potere funziona in modo diverso, come una corrente. È fatto da molti. È aperto, partecipativo e guidato dai pari. Carica e distribuisce. Come l’acqua o l’elettricità, è più forte quando si gonfia. L’obiettivo con un nuovo potere non è quello di accumularlo ma di incanalarlo”. E forse questa chiave di lettura ci spiega anche cosa sta succedendo in politica in Italia.

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Ma come sta evolvendo il modello di leadership con un potere che è in rapida evoluzione? Quattro le tipologie individuate dai due autori:

  • Il Crowd Leader: combina un nuovo modello di leadership di potere con l’impegno e l’articolazione di una nuova mentalità di potere. Il Crowd Leader vuole fare di più che semplicemente canalizzare il potere della moltitudine che a lui/lei fa riferimetno; vuole rendere la sua massa che lo segue più potente. Esempi di leadership di questo tipo, sono i movimenti di cui abbiamo parlato oppure persone come Papa Francesco, che cerca di portare il potere della chiesa dai vertici alla base.
  • La Cheerleader promuove nuovi valori di potere come la collaborazione, la trasparenza e la partecipazione, ma continua a guidare in un vecchio modo di potere. O non è disposto a rinunciare al controllo, o non ha ancora imparato la capacità di incanalare l’energia della moltitudine che la segue. Qui gli autori fanno l’esempio di BArack Obama, che non è stato capace di portare al potere con sé quanti lo avevano eletti, come moltitudine. Questo non gli ha permesso di capitalizzare gli anni della sua presidenza per poi appoggiare l’ascesa di chi lo ha succeduto, Hillary Clinton.
  • Il Leader del castello unisce i vecchi valori di potere con un vecchio modello di leadership di potere: questo è il modello tradizionale di leadership gerarchico e autoritario, che è diffuso in settori come l’esercito, gli affari e l’istruzione. Alcuni esempi: da un autoritario rigoroso come Kim Jong Un a un leader politico tradizionale come Theresa May.
  • Il Co-opter schiera la moltitudine che lo sostiene e usa abilmente nuovi strumenti di potere e tattiche, ma lo fa con una vecchia mentalità di potere, e in alcuni casi per concentrare il potere su se stesso. Come nel caso del presidente Trump, che è in grado allo stesso tempo di far scendere in campo i suoi sostenitori in massa sui social e dichiarare che può sistemare tutto da solo.

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Una semplificazione eccessiva e forse non applicabile alla realtà italiana, o almeno non in toto. Quattro modelli di leadership e nemmeno uno che sembri essere desiderabile o da perseguire. Forse la cultura del nostro Paese richiede un’elaborazione più profonda, che parta dalle radici della nostra storia e trovi strade nuove: perché arroccarsi gestendo e spendendo un potere accumulato oppure cercare di indirizzare o convogliare i voleri di una moltidutine, non possono essere i due poli tra cui oscillare. Essere un leader è ben più complesso. E allora, forse, è ora di lavorarci sul serio. A qualunque livello la leadership si voglia esercitare.