Patriarcato sembra una parola che arriva da altri tempi. Fa un po’ specie vederla affiancata a un trend topic come #MeToo, con tanto di hashtag. Tra i tanti commenti, prese di posizione più o meno ragionate, analisi e ipotesi interpretative, ha colpito la mia attenzione un libretto appena pubblicato che, tra #MeToo e patriarcato, ci mette le mimose. “L’ho scritto di getto, è stata proprio una reazione a questo evento del #MeToo, a come veniva raccontato”, dice Maria Chiara Risoldi, psicologa e psicoterapeuta.
“Sembrava fosse un fatto di attrici, di mondo dello spettacolo, ci si è concentrati sui casi singoli come fossero gossip perdendo di vista la cosa più importante: le donne vittime di violenza non parlano. Non riescono a parlare. Spesso anche perché non si riconoscono come vittime. Il significato simbolico di #MeToo da questo punto di vista è importantissimo e segna una svolta che rischiamo di far passare in secondo piano” spiega la.psicoterapeuta.
L’autrice è anche presidente della “Casa delle donne per non subire violenza” di Bologna, uno dei centri antiviolenza più attivi in Italia, e di donne che non parlano, che hanno paura a parlare o che hanno paura di non essere ascoltate ne ha viste e conosciute moltissime. “Ho letto per giorni e giorni le vicende di singoli casi di attrici – prosegue – mentre i numeri del fenomeno erano di centinaia di migliaia di donne che hanno avuto il coraggio di dire ‘anche io, è successo anche a me’, nei luoghi di lavoro più diversi e nelle situazioni più disparate”. La violenza sessuale, la violenza domestica, lo stupro sono tradizionalmente tenuti segreti, negati. Perfino lo stupro usato come arma di guerra è sempre stato taciuto dalle donne nella storia.
Nelle donne vittime di violenza maschile, quello che prevale è il senso di colpa, il sentire che la violenza subita è in qualche modo meritata e questo rende impossibile la denuncia o anche solo la richiesta di aiuto. “La maggior parte di queste donne non ha neanche consapevolezza di essere sopraffatta o molestata, di essere economicamente debole o ricattabile. Sul piano simbolico – spiega Risoldi – un evento come questo ha una forte funzione liberatoria, serve a prendere esempio e l’emulazione è una delle chiavi per uscire dalla spirale della violenza”.
Il simbolo, quindi, di un’apertura liberatoria, di una voce che trova lo spazio e il coraggio di farsi sentire. Ma non solo. “L’altra esigenza che ho sentito, in questo dibattito, era di nominare l’unica parola che non ho sentito pronunciare: patriarcato. Il dibattito mi è sembrato decontestualizzato, astratto senza questo elemento”. La nostra è una società che presenta ancora “ampi residui di un patriarcato arcaico che si presentano come patologia”, come violenza e come accettazione della violenza. “Alcune donne – riflette l’autrice – si sentono più amate se si sentono dire ‘sei mia’ dal loro compagno”. Anche da questo punto di vista, questa voce che si è levata rappresenta qualcosa di nuovo, qualcosa che si sta muovendo nel mondo femminile. Nel libro (#MeToo: Il patriarcato dalle mimose all’hashtag, Tombolini editore) Maria Chiara Risoldi segue i pensieri, ripercorre la storia del movimento delle donne e dei centri antiviolenza, visti in prima persona. Fotografa le origini del patriarcato e torna sul concetto di differenza di genere, sottolineando il contributo che la psicoanalisi e le neuroscienze possono offrire al miglioramento delle relazioni umane, fino a riflettere sul ruolo dell’intelligenza artificiale.
“Che ci sia un patriarcato in crisi non c’è dubbio, che ci siano nuove riflessioni nel mondo maschile anche, il modello patriarcale è obsoleto anche per gli uomini di oggi, per questo è così importante riflettere insieme”. Serve quindi un nuovo patto, tra uomini e donne. “Il patriarcato – conclude l’autrice – si nutre di banalizzazioni e stereotipi, di oscurantismo e violenza. Affamarlo, denutrirlo, è la via pacifica per uscirne”.