La felicità non è mai stata evocata così tanto come oggi. Ma forse non è mai stata così lontana, almeno per le nuove generazioni.Confusa spesso con il piacere, ci viene propinata in messaggi mediatici e pubblicitari di qualsiasi bene di consumo, molto spesso associata a bellezza, successo e potere. Legata quindi ad aspetti estetici o comunque esteriori, che non fanno altro che alimentare un immaginario collettivo tanto fasullo quanto condizionante. Come testimonia, dopo anni di lavoro di indagine Renee Engeln, docente di psicologia alla alla Northwestern e alla Loyola University (Usa), nel suo libro Beauty mania, l’ossessione della bellezza sta minando il mondo giovanile, rubando loro talento, immagianzione e felicità .
Non esiste una definizione unica di felicità, ma è certo che scaturisce dall’interno. Come dice l’interprete ufficiale del Dalai Lama per la lingua francese, monaco con un dottorato in genetica cellulare, Matthieu Ricard, la felicità è una condizione esistenziale, uno stato di profondo equilibrio emotivo che è a sua volta il risultato della comprensione approfondita del funzionamento della mente. La cosa importante è che la felicità è il risultato di un insieme di qualità umane fondamentali – come benevolenza, pace interiore, forza d’animo, capacità di gestione intelligente di pensieri ed emozioni, altruismo – che possono essere coltivate da tutti. Ognuna di queste facoltà è infatti associata a reti neuronali, che possono essere rinforzate tramite allenamento ed esperienza, imparando così a liberarci dagli stati mentali che producono sofferenza.
Conoscere il funzionamento del cervello è quindi una conditio sine qua non per predisporci alla felicità. E sapete da dove arrivano le ultime scoperte neuroscientifiche? Dalla neurocardiologia e dalla gastroneurologia. Ebbene, sì, abbiamo un cervello nel cuore. E pure uno nell’intestino. Quindi sommati al cervello che per secoli abbiamo pensato l’unico, quello carnico, fanno tre. Sono interconnessi e parlano la stessa lingua, quella chimica fatta di ormoni e molecole infiammatorie. In realtà, non sono stati scoperti ieri, ma il mondo – a partire dalla medicina – se ne sta accorgendo ora. E non sono scoperte da poco, perché dalla conoscenza di noi stessi nelle storia dell’evoluzione umana deriva anche la nostra rappresentazione del mondo e delle forme di organizzazione che creiamo, come ben documentato dal libro appena uscito La scienza delle organizzazioni positive, di Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio.
Partendo dalla neurocardiologia, è ormai dimostrato che il cuore ha un sistema nervoso indipendente, che percepisce le informazioni dall’interno e dall’esterno del nostro corpo. Quindi non solo il cervello cranico arriva la cuore, ma il cuore arriva al cervello attraverso 4 vie di comunicazione: gli impulsi nervosi, gli ormoni, i segnali biofisici (onde generate dalla pressione e dal flusso sanguigno) e i segnali elettromagnetici. Questi ultimi creano un campo elettromagnetico 5mila volte più forte di quello del cervello, che reagisce agli stati emozionali e che si estende per una distanza di 2-4 metri. Ciò significa che le nostre informazioni energetiche vengono comunicate a che ci sta intorno. Ne consegue che, come sostengono le autrici, Veruscka Gennari e Daniela Di Ciaccio, per manifestare una leadership positiva si deve lavorare e sulla comunicazione cuore-cervello e quindi sulla gestione degli stati emotivi e sull’energia. E poi, si devono creare le condizioni affinché lo stesso allineamento avvenga tra le persone dell’organizzazione.
Passiamo al cervello dell’intestino. Si chiama cervello enterico e misura circa 7 metri, estendendosi dall’esofago al colon. E come il cervello del cuore possiede un proprio sistema nervoso e comunica con il cervello cranico. La performance e l’efficacia del nostro funzionamento, non solo la salute, dipendono da come nutriamo il nostro cervello enterico. Cattive abitudini alimentari di certo non facilitano, ma neppure le emozioni sgradevoli collegate a un consumo del cibo non adeguato o i pensieri negativi che ci accompagnano nel momento dei pasti o della tipica pausa caffè influiscono sulle informazioni comunicate dal cervello enterico al resto del corpo.
Secondo Gennari e Di Ciaccio, la scoperta dei tre cervelli cambia completamente la prospettiva con cui guardiamo le organizzazioni. Se per secoli abbiamo creduto di avere un solo cervello custodito nella testa, non dovremmo stupirci della tipica organizzazione piramidale basata su forme gerarchiche e autoritarie. Oggi, però, di fronte alla scoperta scientifica dei tre cervelli presenti nell’essere umano che collaborano e comunicano incessantemente, dovremmo dare vita a organizzazioni orizzontali, animate da un’intelligenza collettiva e diffusa, dove tutti esercitano una leadership consapevole e responsabile a beneficio dell’intero sistema. E in effetti nuovi modelli, da Holacracy, alla Utheory al Teal stanno emergendo qua e là nel mondo e tutte mirano a creare organizzazioni che potremmo definire positive, ovvero volte a far esprimere il pieno potenziale delle persone, una delle condizioni essenziali della felicità e, di conseguenza, della performance.
L’unica difficoltà è che ci vuole un duro lavoro da parte di tutti. Le qualità umane che portano a uno stato di positività vanno conquistate con un impegno rigoroso e con un continuo allenamento da parte delle organizzazioni, dei leader e di ciascuno di noi, chiamati a uscire dagli schemi mentali consolidati, spesso incancreniti dai negativity bias. Siamo di fronte a un grande stimolante sfida per l’umanità, in lotta ancora una volta per la sopravvivenza che oggi passa attraverso la compassione umana e la collaborazione al posto della competizione, per poter fronteggiare sia tensioni socio-economiche di profonda intensità sia minacce globali che minacciano l’esistenza del pianeta stesso. Ce la faremo?