Diciamocelo: alle donne le idee imprenditoriali non mancano, i capitali sì. E’ inutile continuare a guardare alle statistiche sull’imrpenditoria al femminile senza tener conto dello svantaggio competittivo con cui le donne devono fare il conto. La frase “per ottenere il finanziamento in banca ho avuto bisognod ella garanzia di mio padre/marito” non è certo una rarità fra coloro che decidono di mettersi in proprio. E se ne avessimo bisogno lo conferma anche uno studio di 99designs su un panel di 3mila imprenditori, fra uomini e donne, a livello globale. La ricerca evidenzia come gli uomini interpellati abbiamo il doppio delle possibilità di raccogliere finanziamenti dai 100mila euro in su per le loro startup, rispetto alle imprenditrici. E purtroppo dai fondi dipende la vita e lo sviluppo delle neoimprese: capacità di attrarre talenti, possibilità di affittare uffici adeguati e così via.
E proprio per queste difficoltà di avere “credito”, non solo finanziario, le donne arrivano molto più tardi degli uomini a mettersi in proprio: il 52% delle imprenditrici interpellate lo ha fatto dopo i 35 anni, contro una ben minore percentuale maschile del 37 per cento. E quando descrivono la spinta all’impresa, solitamente è più facile che indichino nella passione per qualcosa il motore del tutto e “giustifichino” il coraggio di averci provato con le esperienze che avevano maturato in precedenza.
Qual è quindi la sfida di questo 2018? Scardinare gli stereotipi di un sistema di finanziamenti, che non è giustificato neppure dai fatti, considerato ad esempio che in Italia le aziende al femminile sono in percentuale meno insolventi di quelle al maschile e falliscono più difficilmente. Diversi i dati in questo senso, anche di Cribis-Crif. Per farlo è necessario strutturare il proprio business plan in modo che sia scalabile, cosa che le donne fanno raramente: pensano di aprire un negozio da estetista o di avviare la produzione di forcelle per biciclette, ma difficilmente partono con l’idea di creare una catena di centri estetici o di integrare verticalmente la produzione di componentistica per biciclette. E’ necessario iniziare a pensare in grande, perché solo così ci si prepara a non fondare imprese nane e che possano attirare l’attenzione degli investitori. Un donfo di venture capital difficilmente guarderà ad un singolo prodotto innovativo se non si intravede l’opportunità di svilupparlo in futuro per crearci attorno un’azienda.
E di startup “scalabili” si parlerà giovedì e venerdì prossimo in Borsa Italiana e leggendo la descrizione dello Scaleup Summit mi sono chiesta: ma fra le 150 scaleup, gruppi industriali e investitori invitati a partecipare a questo convegno a porte chiuse, quante saranno rappresentate da donne? L’evento, promosso dalla Commissione Europea, ha l’obiettivo dichiarato di “favorire opportunità di business, investimenti, acquisizioni e operazioni strategiche”. Quale migliore occasione per prendere contatti e accreditarsi, per poter poi proseguire il discorso con gli investitori nei mesi successivi?
Tutto questo purché le donne non entrino più in certi consessi solo in quanto quote rosa, panda da proteggere. Le startupper valide e con idee innovative sul mercato non mancano. Loro devono imparare ad alzare la mano. Gli investitori, dal canto loro, dovrebbero uscire dalla loro zona di confort e considerare anche strade nuove da percorrere. D’altra parte l’innovazione arriva proprio quando si sa rischiare.