In Italia un avvocato su due è donna. E il loro numero sembra destinato a crescere visto che, come attesta la Cassa forense, dal 1981 a oggi il numero delle professioniste è aumentato in modo costante. Nel 1981 le donne che esercitavano la professione in Italia erano solamente il 7%, ma a partire dagli anni ’90 il loro numero è passato al 15%, per poi crescere nuovamente fino ad arrivare al 21% nel 1995, al 30% nel 2001, al 36% nel 2005 e raggiungere il picco del 48% nel 2016. Non solo. Attualmente in alcune regioni del centro Nord nelle fasce più giovani (26 – 34 anni), il numero di avvocate è persino superiore rispetto al numero di colleghi uomini.
Eppure, a dispetto del loro peso numerico crescente, le giuriste continuano a stare ai margini della professione. In Italia, infatti, il reddito medio delle avvocate è pari al 43% dei colleghi uomini. Secondo una rilevazione della Cassa forense che risalgono al 2015, il reddito medio dichiarato dagli uomini è di 52.763 euro contro i 22.772 euro dalle donne. Oltre a guadagnare di meno, le avvocate fanno anche più fatica a scalare i ruoli all’interno degli studi legali. I dati raccontano infatti che solo il 13,64% dei managing partner (i soci dirigenti) degli studi legali è donna.
Contro queste disparità è nata nel 2014 AslaWomen: il gruppo di lavoro costituito all’interno dell’Associazione degli studi legali associati (Asla) che si occupa di sostenere e valorizzare le donne nel loro percorso professionale all’interno degli studi legali associati. “Le professioniste, sebbene rappresentino oggi una componente numericamente importante negli studi legali associati, continuano a essere poco presenti nelle posizioni di vertice”, rivela l’avvocata Barbara de Muro, responsabile della sezione AslaWomen. “Negli ultimi anni – continua la giurista – il numero di avvocate socie negli studi membri è passato dal 16,9% del 2013 al 24,7% del 2016 e il discrimine più netto si avverte nel passaggio a equity partner con solo il 20,40% di avvocate nel 2016”.
A fronte questi numeri tutt’altro che lusinghieri, spiega De Muro, “AslaWomen ha emanato delle linee guida: una sorta di disciplina etica per la gestione degli studi volta a valorizzazione ogni forma di diversity e illustrate politiche di sostegno della famiglia e della persona”.
Un impegno che sembra confermato anche dai numeri. Secondo i dati Asla, nel 2016 il 53,06% degli studi membri ha adottato concrete iniziative di valorizzazione delle differenze e ben due studi su tre (75,51%) ha predisposto una politica di sostegno dei professionisti nella conciliazione tra vita professionale e vita privata, tesa al miglioramento della qualità della vita. Nello specifico, il 56,76% delle law firm realizza l’intento mediante l’organizzazione di momenti conviviali con le famiglie dei professionisti; il 62,16% con la creazione di spazi interni come la mensa, il ristorante, la cucina e la sala relax; il 70,27% fissa le riunioni interne in orari idonei a conciliare eventuali esigenze familiari; l’81,08% attraverso la possibilità di lavorare da casa; il 29,73% stipula polizze assicurative sanitarie.
Bisogna precisare però che questi numeri riguardano un numero ristretto di studi legali. “La realtà milanese – spiega l’avvocata Giulietta Bergamaschi, membro del comitato esecutivo Asla, sezione AslaWomen – rappresenta un unicum che non trova riflesso in quasi nessun altra zona d’Italia. E tuttavia è pur vero che, come dimostrano i dati sul numero di donne alla guida degli studi legali, quello che si fa oggi – anche a Milano – non è ancora abbastanza per le colleghe che lavorano all’interno delle law firm. Bisogna perciò continuare a mantenere alta l’attenzione su questi temi, sensibilizzando non solo le donne ma anche gli uomini”.
A questo scopo, il prossimo 18 maggio a Milano, Asla organizzerà un convegno dal titolo “Diritto al Futuro” dove si parlerà, tra gli altri argomenti, anche di diversity in tutte le sue sfumature. Oltre a discutere di disparità di genere, l’Associazione si interrogherà anche, come spiega Bergamaschi, “sulle differenze a livello di orientamento e di identità sessuale all’interno degli studi legali. Inoltre discuteremo di disabilità visto che ci siamo resi conto che il modo in cui è strutturata oggi la prova di abilitazione professionale può rappresentare un ostacolo per i colleghi e le colleghe i soffrono di disturbi dell’apprendimento. Infine dedicheremo uno spazio alle avvocate nel cinema, analizzando come è cambiata la rappresentazione e la percezione di chi pratica la nostra professione”.