Katherine è una brillante matematica, con eccellenti doti di calcolo in geometria analitica; Dorothy è affascinata dai primi sistemi operativi e studia la programmazione del computer IBM; Mary è un’aspirante ingegnere. Tre fantastiche eccezioni, nel 1960, quando la scienza era considerata prerogativa degli uomini. E proprio per questo vengono reclutate dalla NASA. Katherine. in particolare, riusce a risolvere equazioni matematiche complesse, conquista il rispetto e l’ammirazione dei colleghi e contribuisce alla creazione di una elaborato calcolo per le coordinate della traiettoria di rientro della capsula spaziale sperimentale.
Cosa c’è di eccezionale? Katherine non solo è una donna matematica negli anni ’60, ma è anche afroamericana. La prima donna di colore ad avere accesso ai dati sensibili dell’agenzia spaziale americana e la prima donna ad essere ammessa alle riunioni, la prima donna ammessa ad assistere al lancio della navicella. La strada è stata tutta in salita, ha dovuto sopportare gli sguardi indagatori, commenti razzisti e disparità di trattamento economico rispetto ai colleghi uomini. Ha dovuto utilizzare tutte le sue doti matematiche e cognitive per sconfiggere la diffidenza e affermare il proprio diritto di contare, inteso proprio come diritto di “lavorare coi numeri”.
Le storie di queste donne sono state raccontate nel film “Il diritto di contare”. Perché torno su un film dello scorso anno. Perché sono trascorsi quasi sessant’anni dalla realtà che racconta, eppure anche oggi il binomio donne-scienzanon è così scontato. Per molto tempo la giustificazione della disparità di genere negli studi scientifici è stata basata sulla teoria della “predisposizione genetica”, come fosse quasi naturale che le donne fossero più inclini agli studi classici, umanistici, letterari: per indole, per caratteristiche di personalità, per l’arcaica convinzione che il cervello femminile fosse più “arrendevole” rispetto a certi meccanismi elaborati come quelli matematici. E io inciampo proprio in questo stereotipo quando mi definisco “una frana in matematica”. La realtà, invece, è ben diversa.
Tutti nasciamo con una potenziale intelligenza numerica uguale, tutti possiamo sviluppare le capacità di calcolo, di classificazione, di elaborazione di dati, di programmazione computazionale. La scienza e la matematica non fanno distinzioni di genere: ogni bambino, appena nato, riesce a distinguere le quantità, le forme, le dimensioni degli oggetti. Ogni bambino possiede un concetto innato di numero.
A scuola dell’infanzia, attraverso l’osservazione del mondo, si insegnano i concetti topologici, l’insiemistica, le reazioni tra oggetti, le differenze e le uguaglianze e gli alunni, che si trovano nella piena fase pre-operatoria (Piaget) diventano in grado di affrontare i problemi, focalizzandosi su un elemento per volta, in modo selettivo. Analizzare e risolvere problemi è proprio la base del pensiero scientifico, che include non solo la capacità di calcolo, ma anche la capacità di problem solving.
L’intelligenza numerica deve essere stimolata già dalla prima infanzia, attraverso giochi che introducano il bambino nel mondo della matematica e delle scienze. Riordinare i giochi, ad esempio, è considerata un’attività fortemente collegata all’ambito matematico.In classe, i bambini, riconoscono le diverse funzioni dei giocattoli che hanno a disposizione, riescono a catalogarli e classificarli a seconda della grandezza, della forma e del colore. Ci sono modalità divertenti per “fare matematica” senza libri, l’intero mondo in cui siamo immersi è pieno di oggetti che possono essere misurati. Si può dire che il concetto di numero nasce con noi e ha lo stesso sviluppo che ha la capacità di lettura dell’alfabeto.
L’alfabetizzazione matematica viene, però, spesso, sottovalutata, a discapito dell’intelligenza numerica che, se non stimolata correttamente, rischia di non incrementarsi con la crescita. Alle bambine, poi, proprio per una questione di stereotipi, si rischia di non dare gli stimoli necessari per sviluppare queste competenze e per far crescere la passione verso certe materie. Così le percentuali relative alla probabilità che le ragazze conseguano una laurea in campo scientifico restano basse. Tanto che le Nazioni Unite hanno ritenuto necessario fissare un Women in Science day, vale a dire un giorno (l’11 febrbaio) in cui si celebrano le donne che lavorano nelle Stem e si dà il via a programmi per avvicinare bambine e ragazze a queste materie.
In questo la scuola gioca un ruolo prioritario per dare alle bambine e alle giovani la possibilità di sviluppare la capacità di autodeterminarsi, di decidere cosa diventare, di scegliere di diventare persone che contano. Perché il diritto di contare appartiene a tutti, senza distinzione alcuna.