Alla fine di tutti i #metoo, di tutte le campagne, dei vestiti neri ai Golden Globe, della Deneuve e dei suoi fischi, dell’Argento e dei suoi pugni chiusi… alla fine di tutto arriva un giudice del Tribunale di Vicenza che sdogana come goliardata (e dunque non punibile come molestia) la pubblica e ripetuta manata sulle chiappe di un capo alla sua sottoposta.
“Maddaii, scherzava, non te la prendere”. Più o meno è questo il messaggio contenuto nella sentenza del magistrato che non tiene conto del fatto che, in generale, le chiappe di un collega non sono la palestra su cui sgranchire le dita al fine di evitare la sindrome del tunnel carpale.
E se non sono così ottusa da chiedere l’amputazione della mano morta, non sono nemmeno disposta a chiudere un occhio (anzi due, come sembra avere fatto il giudice) davanti alla violazione del corpo di una donna (ma varrebbe lo stesso se le chiappe incriminate fossero quelle di un uomo).
A casa mia si dice: stai nel tuo che non sbagli. Ecco, appunto: il tuo in questione non contempla il mio corpo e soprattutto non contempla che su questo tu allunghi le mani, nemmeno per fare il simpatico, per far ridere i colleghi davanti ai quali hai dato sfoggio del tuo discutibilissimo talento comico… Che nel caso vai ai provini di Colorado che cercano sempre.
Il punto della faccenda è che non bastano gli hashtag, le campagne mediatiche, le chiacchiere da salotto e in favor di telecamera. Anzi, a quanto pare, non servono a niente se, nel giro di una manciata di trend topic, arriva una sentenza che azzera tutto e costringe a ripartire dal via.
È solo una sentenza, penserà qualcuno. Ma una sentenza costituisce un precedente (anche se in Italia non fa giurisprudenza) e in questo caso pure pericoloso. Perché allora basterà un sorriso a fior di labbra ad accompagnare la mano morta per far retrocedere un oltraggio alla persona a un simpatico (ma per chi?) scherzo.
Così da oggi, a dar retta al magistrato, chiunque si azzarderà a sorridere appoggiando la mano su un sedere non suo sarà un buontempone, non un molestatore, non un cafone, maleducato e mi verrebbe da dire anche un pelo porco. No, macché: sarà un simpatico umorista. Non fine, però.
Il punto di tutta la faccenda è che se non esiste un’asticella che stabilisce in senso assoluto cosa sia molestia e cosa no, ci si deve affidare al buonsenso (dei magistrati) e alla sensibilità delle singole persone, ragion per cui se una donna denuncia di essere stata palpeggiata nelle parti intime (ci terrei a ricordare che il sedere è una parte intima del corpo umano, eh) per ben tre volte dal proprio capo e di essersi sentita oltraggiata per questo, allora caro signor giudice, poco importa se il capo rideva mentre allungava le mani, molto importa invece che non le teneva al loro posto. Che, ribadisco, non è per niente rappresentato dal sedere di una sottoposta.
Se non bastasse l’atto in sé, andrebbe anche ricordato che quando l’azione molesta è compiuta da un capo (uomo o donna che sia) andrebbe ravvisata un’aggravante, una robina molto prossima all’abuso di potere. Perché già non è facile mandare a stendere un collega marpione, figurarsi se lo è farlo con un superiore dal quale dipende il nostro lavoro e, di conseguenza il sostentamento nostro e, se ce l’abbiamo, della nostra famiglia.
Non credo di essere intransigente: non ho condiviso le modalità della campagna mediatica delle pasionarie post Weinstein che reputavo un po’ troppo ciniche e ipocrite nelle loro denunce mediatiche. Buttare nello stesso calderone un fischio o un complimento scomposto e non richiesto con le mani addosso significa non saper distinguere tra parole e fatti: se le prima possono essere sgradevoli i secondi, bene che vada, sono assolutamente fastidiosi.
Dunque, per fare un po’ d’ordine, a questo punto servirebbe un impegno poco propagandistico e molto concreto da parte di chi ha il potere di rimettere le cose a posto: non io e non le attrici di fama più o meno chiara, non gli intellettuali e nemmeno le post femministe. I magistrati. Sono loro in ultima battuta coloro che possono creare precedenti capaci di educare quanti sono restii a comprendere i dogmi più banali della convivenza civile tra colleghi, amici, conoscenti, vicini di casa, compagni di viaggio in metro e in autobus, al primo posto dei quali rimane sempre: le mani tienile in tasca e comunque lontano dalle mie chiappe.