Stringere tra le braccia un neonato, accarezzare il viso di un bambino, tenergli la manina, sfiorare con tenerezza i capelli, sono gesti quasi istintivi, che nascono spontanei. Nessuno ci insegna a farlo, eppure tutti ne siamo capaci. Questo perché, sin da piccoli, abbiamo ricevuto abbastanza coccole, atti di amore e tenerezza che hanno sviluppato il nostro bagaglio emotivo e hanno arricchito la nostra memoria affettiva.
D’altronde, appena nato, ma anche nel grembo materno, il bambino comincia già a conoscere il mondo attraverso il tatto, prima ancora che con gli altri sensi: il contatto fisico diventa indispensabile per apprendere e per crescere sereno.
Un abbraccio, una carezza, un bacio sono modi per dire: eccomi, sono qui, ti proteggo, ti voglio bene, puoi fidarti di me. Il linguaggio non verbale è più immediato e facilmente comprensibile dai bambini; me ne accorgo a scuola, quando mi rivolgo ai miei alunni, specialmente i “treeenni”. Spesso, quando piangono, quando soffrono il distacco dal genitore o quando devono affrontare un momento spiacevole, mi rendo conto che ripetere frasi del tipo: “Non preoccuparti!”, “Mamma torna presto!”, “Andiamo, coraggio”, serve a poco. Ciò che ha maggior impatto emotivo sul bambino è proprio l’atteggiamento del corpo e il contatto fisico: prendere per mano, ad esempio, significa infondere fiducia, abbracciare significa consolare. Le parole con i bambini non bastano, occorrono i gesti.
Quello che non sapevo però è che esiste una vera e propria “mappa delle coccole”e l’ho scoperto grazie ad un libro dedicato interamente alla relazione fisica tra genitori e figli: si chiama “Coccolario” ed è edito dalla DeAgostini. Sono raccolte trenta divertenti filastrocche che diventano un vero e proprio viaggio emotivo, alla scoperta della bellezza e dell’importanza del contatto fisico che viene descritto come un nutrimento per lo spirito. Trenta situazioni reali o di fantasia che si trasformano in altrettanti possibili coccole e diventano esperienze sensoriali che inducono all’immaginazione, alla creatività e, quindi, alla crescita del pensiero simbolico.
C’è, ad esempio, una poesia che descrive un atto reale: preparare una pizza. Un atto culinario, apparentemente non connesso con le emozioni. Cosa c’entra con la tenerezza e l’affettività? Presto detto: le rime accendono gesti spontanei, da alternare, per mimare tutte le fasi di preparazione dell’impasto… il luogo per eccellenza non sarà la cucina però, ma la schiena o il pancino del bambino: movimenti circolari col palmo delle mani, piccola pressione delle dita, braccia che diventano grandi cucchiai. Massaggi e parole, insieme. Davvero un mix fantastico per creare un momento di ascolto, di concentrazione, di quiete e di benessere.
Quante volte ci capita di rientrare a casa, dopo una faticosa giornata e sentirci stanchi? Spesso, dimentichiamo quanto sia importante ritagliare spazi privati, esclusivi, dedicati alla famiglia, a quel legame speciale ed autentico che i genitori hanno con i figli. E’ possibile raccontare le nostre emozioni e farci raccontare quelle dei bambini, proprio attraverso il linguaggio non verbale. Ci sono stati d’animo che non possono essere spiegati con le parole, specialmente dai più piccoli, che hanno accesso ad un vocabolario più ridotto e non hanno ancora piena consapevolezza del proprio stato emotivo.
Sedersi insieme, abbracciarsi, stringersi, può essere un modo davvero efficace per “riuscire a sentire le emozioni reciproche”, per imparare l’empatia, per comprendere appieno quel senso di appartenenza che dovrebbe sigillare ogni rapporto genitoriale, ma anche familiare. Attraverso esperienze affettive, i bambini crescono, sperimentando l’emotività attraverso il corpo. Quante più esperienze sensoriali affettive faranno i bambini, tanto più, da adulti, saranno in grado di riproporli verso gli altri. “Ci sono coccole che ci accompagnano per tutta la vita, un filo rosso che tiene insieme tutte le nostre emozioni”, tutti noi conserviamo una memoria emotiva di cui ci serviamo, da “grandi” quando viviamo momenti difficili, di tensione, di sfiducia. Il più delle volte, siamo capaci di “rialzarci” e andare avanti, proprio grazie alla grande scorta di affettività che fa parte del nostro bagaglio, che ci rende in grado di amare noi stessi e gli altri. Il nostro modello di attaccamento infantile continua la sua funzione per tutta la nostra vita, ci consente di provare empatia per altre persone, di perpetuare quei geti d’affetto che conserviamo nel cassetto più prezioso della nostra mente.
Le coccole possono essere terapeutiche anche da adulti. E’ vero, diventiamo razionali, siamo capaci di interpretare le emozioni, di raccontarle, di confidare il nostro sentire…eppure, un abbraccio, una stretta di mano, una “pacca sulla spalla”, una carezza, continuano ad essere momenti di forte impatto emotivo. Non dimentichiamo di coccolare e coccolarci, ecco, uno dei buoni propositi per il nuovo anno!
(Un grazie di cuore agli autori del libro “Coccolario”, Alberto Pellai e Barbara Tamborrini)