Solo Cipro e Malta in Europa fanno peggio di noi: in tutti gli altri Paesi del nostro continente c’è più parità di genere che in Italia.
Non foss’altro che per lo spirito di competizione che ci contraddistingue, sarebbe ora di alzare la testa e provare a cambiare il corso delle cose per le Italiane (e gli Italiani). L’Italia ha infatti perso ben 32 posizioni in un anno nel Global Gender Gap Report del World Economic Forum, posizionandosi 82°, soprattutto a causa di una crescente ingiustizia salariale – chiamarla discriminazione non rende l’idea: stiamo parlando infatti dei diritti basilari di tutti i cittadini, garantiti dall’articolo 3 della nostra Costituzione – e della ridotta presenza politica delle donne, soprattutto in ruoli decisionali.
Il divario di trattamento tra donne e uomini nel nostro Paese torna così, per la prima volta dal 2014, a superare il 30%. Semplificando il messaggio:
in Italia, se nasci femmina, hai poco più dei due terzi dei diritti e delle possibilità che sono garantite ai maschi. Un uomo vale 100 e tu 70, insomma.
E’ una cattiva notizia di cui però forse avevamo bisogno, per iniziare a pensare che questo Paese non può più permettersi di non avere un ministero – un ministero vero, con un portafoglio, un’agenda politica e una reale capacità di azione – dedicato al raggiungimento della piena parità? Se i dati numerici sono così efficaci e le classifiche così stringenti, abbiamo oggi qualche speranza di accorgerci che stiamo andando malissimo, visto che il dato sul divario di genere è anche un chiaro indicatore della cattiva salute di un intero sistema, che sta viaggiando con un motore spento?
Suono forse un po’ amara? Direi piuttosto furiosa e con un senso di profonda impotenza. Ci sono cose che sono alla base di una civiltà. La parità di diritti lo è: non è facoltativa. Non è un “di più” di cui occuparsi una volta che tutto il resto, le altre cose “più importanti e urgenti” sono a posto. Non possiamo andare da nessuna parte se prima non siamo sicuri di avere tutte e tutti a bordo: non solo perché siamo un Paese zoppo, ma anche perché siamo un Paese senza dignità.