L’altro giorno, con fare quasi colpevole, un collega 45enne mi ha preso da parte e mi ha domandato: ‘hai l’aria di essere felice, soddisfatta e appagata nel tuo ruolo, e vorrei che fosse lo stesso per i miei giovani collaboratori. Qual è il segreto del tuo manager? Perchè sai’, ha aggiunto, come a giustificarsi, ‘la mia impressione è che voi Millennials vogliate soprattutto avere impatto’.
Sono rimasta sorpresa per due motivi. Uno: che sia considerato strano che chiunque, Millennials o no, voglia avere impatto. Due: che lo venisse a chiedere a me, invece che al mio manager.
Impatto dentro e fuori l’azienda per una generazione che stima l’impegno corporate
Mi è venuto quasi da sorridere pensando che si possano avere ambizioni diverse dal lasciare il segno. Proprio questa mia supponenza è indice del fatto che, come si dice, l’animale non sente il proprio odore. Ma che cosa si intende per impatto?
Personalmente significa che mi si riconosca l’impatto del mio lavoro – sola o in gruppo – e che nessun altro ne prenda il merito. Più in generale, per noi Millennials l’obiettivo è sentirci parte del successo dell’azienza, di cui ci sentiamo responsabili individualmente al di là delle gerarchie formali. Ed è proprio il luogo di lavoro che ci permette di avere un impatto anche al di là dello stesso. Secondo il Deloitte Millennial Survey 2017 le opportunità fornite dai datori di lavoro di fare la differenza per delle ‘buone cause’ ci fa sentire influenti e realizzati. Vogliamo quindi avere impatto interno all’azienda e all’esterno attraverso l’azienda per migliorare la società che ci circonda.
Non solo vogliamo avere impatto, ma ci interessa anche se l’azienda per cui lavoriamo è impegnata socialmente. Secondo il report CEO Activism in 2017: High Noon in the C-Suite di Weber Shandwick, l’attivismo del CEO ha un effetto positivo sulla fidelizzazione all’azienda quando ne siamo dipendenti. Inoltre il 51% di noi Millennials è più propenso a comprare marche il cui CEO si è espresso su una questione che abbiamo a cuore, contro il 33% della Generation X e il 30% dei Baby Boomers.
Perchè chiederlo a me? Questione di ruote e di scale
Il fatto che mi chiedesse consiglio mostra come il mio collega, forse inconsciamente, abbia già intuito in realtà più di quanto sospetti dei Millennials. Insofferenti alle gerarchie immobiliste, apprezziamo sentirci una ruota dell’ingranaggio invece che un gradino di una scala. Quindi chiedermi come comportarsi dimostra che coinvolgerci nelle decisioni, incluse quelle manageriali, sia la maniera migliore per non perderci per strada.
Ci aspettiamo di essere ascoltati, e in effetti negli anni passati molte aziende, vecchie e nuove, si sono adattate alle nostre aspettative di equilibrio tra lavoro e vita personale, necessità di riconoscimento e di impatto, empowerment individuale e flessibilità. Quanto questi valori aumentino la produttività resta dibattutto, ma sembrano essere condizioni necessarie per noi e auspicabili per tutti, in fondo.
Millennials e cambiamento a più velocità: UK e Italia a confronto
All’ultimo sorso di caffè, il mio collega mi ha giustamente chiesto se abbia notato differenze lavorando a cavallo tra UK e Italia. Se i Millennials si aspettano di essere trattati dai managers diversamente nei due Paesi è meglio saperlo.
La mia impressione aneddotica è che le aziende in UK, grandi e piccole fino alla pubblica amministrazione, e i managers di conseguenza, si siano adattati più velocemente alle aspettative dei Millenials rispetto a quelli italiani. E che viceversa i Millennials italiani spingano meno per il cambiamento rispetto ai miei coetanei inglesi. Il Pew Survey già nel 2014 notava che i Millennials italiani hanno l’impressione di essere meno in controllo della propria vita e più soggetti a forze esterne nelle loro scelte rispetto a quelli inglesi (63% contro 37%), il che può portare ad una certa passività.
Un’altra differenza è che in UK si arriva sul posto di lavoro più giovani, e soprattutto si lavora spesso anche durante il ciclo di studi – cosa molto meno diffusa in Italia. E così non sorprende che, secondo le stesso sondaggio Pew, per i Millennials italiani una buona educazione sia più importante che lavorare duro per aver successo nella vita, mentre per gli inglesi sia esattamente il contrario.
…e quindi?
Caro collega e cari managers ovunque voi siate, c’è una semplice ricetta per gestire questa generazione che all’apparenza sembra così complessa. Riconosceteci quello che ci è dovuto senza attribuirci doti eccezionali di creatività per il solo fatto di essere giovani, aiutateci a crescere e a svilupparci senza paternalismo, e soprattutto adottate un approccio outcome-oriented: finchè riusciamo a portare a termine gli obiettivi che ci date, lasciatecelo fare da dove vogliamo, casa o ufficio, bar o spiaggia. Dopo tutto, come dice il mio manager Millenial-friendly, sono i risultati che contano, no?