Il telefonino al piccino anche no. Sotto i 10 anni non c’è bisogno di consultare psicologi e sociologi per decidere se mettere o no in mano al proprio figlio uno smartphone. Primo perché non si tira in ballo la letteratura scientifica, le teorie sull’adattamento ai nuovi media, l’esposizione agli schermi retroilluminati e gli studi neurocognitivi sugli effetti del mutlitasking su apprendimento e  plasticità cerebrale su scelte pedagogiche che afferiscono più al buon senso che alla scienza. Secondo perché la decisione di dotare un bimbo di un device interattivo che permette di comunicare è una responsabilità del genitore e dell’idea che il genitore si è fatto del proprio figlio. Come dire, non c’è nulla scritto sulla pietra che può impedire a un genitore di regalare un iPhone a un bimbo. Basterebbe solo raccontarsi la verità per capire il motivo che ci spinge a rendere più connesso l’innocente minorenne. Dai dieci ai tredici si entra invece in una terra di mezzo. Ecco le dieci scuse più abusate di chi intende regalare prima del tempo lo smartphone.

1.  “Signora mia, al giorno d’oggi non si sa mai con quello che si legge sui giornali. Quando non so dove è lo posso sempre chiamare”. Se ha meno di 13 anni dovresti già sapere dov’è. Se non è con te, è con i suoi amici. E i suoi amici sono ospitati da un adulto. Meglio regalare lo smaprthone all’adulto così potrà decidere di non rispondervi o placare la vostra ansia con un sms: “NON MI CHIAMI PIU’. SUO FIGLIO STA BENE, MANGIA E SI DIVERTE. LO VENGA A PRENDERE QUANDO E’ FINITA LA FESTA”. Consiglio: se il problema è la telefonata rassicuratrice, basta anche un tipo Nokia low cost senza internet e macchina fotografica che serve solo per telefonare. Di questi tempi una rarità.
2. “Signora mia, al giorno d’oggi non si sa mai. Ma li ha letti i giornali? Quando non so dove è lo posso sempre geolocalizzare”. Ci sono anche i genitori che sanno qualcosa di tecnologia e pensano di usare il telefonino per controllare i suoi spostamenti su una mappa geografica come se avesse addosso una pulce, alla James Bond. Esistono app e funzioni del telefonino (trova il mio iPhone) che svolgono questo compito. In modo anche egregio. Unica avvertenza, quando il pargolo scopre di essere spiato ci mette un nanosecondo a togliere il traffico dati e disattivare queste funzioni. Sono nativi digitali. In questi casi ne sanno comunque più di noi.
3. “Me l’ha chiesto perché gli serve a scuola per studiare”. Ah ah ah ah ah ah ah ah ah
4. “Guardi che ci sono dei telefonini fatti apposta per i minori di 12 anni”. E’ vero, esistono. Di solito sono brutti e complicati. Per inserire il parental control serve una laurea in ingegneria. Dopo una settimana ve li tirano dietro.
5. “Abbiamo inserito il parental control. Siamo tranquilli”. Il parental control è un modo per impedire alla prole di navigare per esempio su siti porno, chattare con sconosciuti o accedere a negozi online per acquistare armi da fuoco. Tutti i principali browser e smartphone consentono di programmare l’accesso a internet in modo da impedire l’accesso a determinati siti. Si può anche decidere di bloccare alcune applicazioni di condivisione dei contenuti. Qual è il problema? Che è come dare in mano un binocolo a un bambino e poi dirgli che non vedrà delle cose. Tempo uno o due anni e trova di sicuro il mondo di aggirare il software. Esistono bacheche piene di consigli per l’hacking. L’amico smanettone c’è sempre. Quindi è sempre bene agire a monte e spiegare che internet è come andare a spasso da soli. Si incontra di tutto. Anche cose che facciamo fatica a capire. In quel caso, la cosa migliore, secondo me, è quella di renderci disponibili come genitori a discutere di tutto. Quindi più che essere tranquilli per aver inserito il parental control sarebbe bello la tranquillità del genitore che può contare sulla complicità del figlio.
6. “Ce l’hanno anche i suoi compagni di classe. Poverino, era l’unico a non avere il cellulare”. Di solito è una bugia. Al massimo ce l’ha uno o due, quelli che la vincono sempre e a 16 anni hanno già moto, macchina e arma da fuoco vietata. Ma anche se fosse, è un’ottima occasione per insegnare il “think different” e il valore dell’essere alternativo.
7. “Ce l’avevo in casa, la sorella ne voleva uno nuovo, per non buttarlo via glielo abbiamo dato”. Anche se è piccolo non vive fuori dal mondo. Se gli date uno smartphone vecchio se ne accorgerà e ve lo tirerà dietro. Poi da sorelle o fratelli di solito non si accetta niente di seconda mano.
8. “Guardi non ci si può credere. A due anni già apriva e chiudeva Youtube da solo. A tre faceva video e editing. Un genio”. Si chiama adattamento ai nuovi media. Non c’è nulla di geniale. E’ quella cosa per cui chi è nato tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta lo rende più abile a maneggiare un telecomando rispetto al papà e mamma. Non c’è nulla di speciale.
9. “Masssà. I tempi sono cambiati. Con i suoi compagni oggi si cambiano messaggi su Whatsapp per trovarsi al campetto di calcio”. Può succedere. Ma per gestire feste, judo e spostamenti logistici ci vuole comunque il genitore. Quindi si può tranquillamente optare per un uso condiviso di Whatsapp senza dover per forza regalare uno oggetto per organizzare le partire di pistole ad acqua. Sopratutto se poi decidono di venire a casa tua.
10. “Così impara subito e diventa grande e responsabile”. Allora perché non regalargli anche la Pec, le password per pagare Imu e Tasi, un cane incontinente e le chiavi della moto di papà.

Ps. Lo smartphone è un oggetto di apprendimento, un abilitatore di esperienze e uno strumento di lavoro e studio. Non è il male, non distrugge le giovani generazioni e non manda il cervello in pappa. Chi lo pensa davvero probabilmente vive con gli zoccoli, professa l’apocalisse e maledice le macchine. E’ un oggetto molto personale, privato, dove volenti o nolendi ci comprimiamo dentro le nostre vite. Quando si regala uno smartphone? Solo quando il/la piccino/a smette di essere così piccino/a da non apprezzare il valore e la responsabilità di avere un oggetto che è stato studiato per il mondo degli adulti. Insomma, non c’è un’età giusta. C’è sicuramente un’età sbagliata.