Inizia dalla fine, dall’ultima domanda l’intervista a Maria Parnazzini, imprenditrice del settore del coiffeur dagli inizi degli anni Novanta. La storia professionale non può prescindere dalla vita di madre di Nico e Alessandro, entrambi amministratore delegato della Nuova Fapam, azienda al 100% italiana di prodotti e servizi per i parrucchieri. «Vederli operare al vertice dell’azienda che ho fondato, contribuendo a farla crescere e portando avanti i valori della famiglia è il mio orgoglio e la mia soddisfazione più grande».
Il Sud, per altro, è risultato, secondo gli ultimi dati Unioncamere, campione di imprese al femminile con oltre 474mila aziende, un tasso di femminilizzazione quasi al 24% contro una media nazionale del 21,75%. Spesso, però, le imprese fondate da donne rimangono nane. Il problema è quello di non pensare in grande: non limitarsi a una produzione artigianale, ma strutturarsi per una crescita dimensionale; non fermarsi a un negozio, ma pensare a una catena in franchising. Fiera delle sue origini abruzzesi, Maria Parnazzini, che nel 1983 ricevette dalle mani del Presidente Sandro Pertini l’onorificenza di “Cavaliere” a soli 36 anni, è riuscita a pensare in grande e oggi è presidente un’azienda con 150 dipendenti, tra diretti e indiretti. Partendo da Pescara, dove ha sede il suo quartier generale, ha raggiunto 70 Paesi, portando il Made in Italy negli Stati Uniti, in Russia e in Asia. Ha creato due brand, Screen e Nubea, e il franchising per parrucchieri “Tagliati x il successo”, coniugandoli nella medesima filosofia aziendale. Oggi porta avanti la sua battaglia per la tutela dei parrucchieri, della loro professionalità, della loro arte.
Da dove è partita?
«Nei primi anni Novanta, da quando ho iniziato a dedicarmi a questo progetto, ho preso un’automobile e ho cominciato a viaggiare in Italia per proporlo ai saloni per parrucchieri. Grazie ai primi che hanno creduto in me e cominciavano a sottoscrivere i contratti, ho potuto autofinanziarmi e dare vita all’azienda un passo alla volta».
Come siete arrivati sui mercati esteri?
«Circa sei anni fa abbiamo iniziato questo nuovo percorso e sin dall’inizio se ne sono occupati i miei figli. Io, invece, continuo a seguire da vicino l’Italia e il mercato spagnolo. La rete “Tagliati x il Successo” è presente solo in Italia, mentre Screen, con la formazione e con i prodotti è presente anche all’estero, così come Nubeà».
Che futuro immagina per la sua azienda?
«La vedo sempre più proiettata all’estero, in un contesto dinamico e internazionale, ricco di opportunità. Del resto, nel futuro ci sarà sempre bisogno dei parrucchieri ad affiancare le donne per la cura della loro immagine, non è un mestiere sostituibile né destinato a scomparire».
Ha incontrato difficoltà o pregiudizi?
«Il nostro settore, almeno in Italia, è quasi sempre stato ad esclusivo appannaggio del mondo maschile. E quando ho iniziato in questo ambito, il fatto che arrivasse una donna, per giunta da una regione come l’Abruzzo, senza tradizione imprenditoriale, a proporre dei prodotti e dei servizi, mi ha fatto trovare spesso le porte chiuse in faccia. Ricordo che una volta un commercialista volle verificare, facendo una telefonata in azienda, che la mia non fosse un’impresa fantasma. Questo aneddoto la dice lunga. Nel mio percorso ho incontrato molti pregiudizi, spesso più dei pregiudizi, e preferisco non andare oltre. Ma io, come tutti gli abruzzesi, sono molto determinata e non mi sono fermata, né lasciata intimorire».
Secondo lei, oggi è più difficile per una donna fare impresa rispetto a venticinque anni fa?
«Non credo. Oggi il mondo dell’imprenditoria ha le porte spalancate per le donne, e in generale, per fortuna, facciamo meno fatica a trovarle in ambiti o a ricoprire ruoli che prima erano quasi esclusivamente maschili».
Ad una convention di qualche tempo fa, lei affermò che i problemi dei suoi dipendenti erano i suoi problemi: è ancora di quell’avviso?
«Un’azienda per crescere ha bisogno di potersi fidare dei propri collaboratori, coinvolgendoli nel progetto e nella visione da realizzare. I collaboratori, però, si portano dietro anche i loro problemi e le difficoltà nella vita di tutti i giorni e non possono staccare e riattaccare la spina a piacimento. Dalla mia esperienza oggi posso dire di essere in grado di capire al primo sguardo se c’è una gioia o piuttosto qualcosa che non va. Ai miei collaboratori vado sempre ripetendo che il loro presidente c’è sempre, anche per motivi non legati al lavoro e spero di essere riuscita a trasmettere questo messaggio. Ma attenzione a dire che l’azienda è una seconda famiglia. Non è così».
Che cosa significa per lei la parola “leadership”?
«Un modo di esprimere la leadership potrebbe essere affermare: “Io sono una multinazionale, ti assumo o ti licenzio a mio piacimento”. Ma quella è la leadership dei numeri e del mercato. Io credo nella leadership che, invece, sanno esprimere le persone. La leadership non è un sistema o uno schema. È quella capacità di colui o colei che sa comunicare e mettersi in relazione con l’altro, indossando anche vestiti camaleontici, a secondo del contesto o delle persone che abbiamo di fronte».
Quale può essere il contributo delle donne in ambito politico ed economico nel nostro Paese in questo momento storico? C’è bisogno, forse, di una maggiore fiducia?
«Non credo che sia un problema di chiedere maggiore fiducia. Sono dell’idea che la fiducia vada conquistata, si deve lavorare sodo per averla. Ma soprattutto ogni donna deve restare se stessa, senza farsi coinvolgere, seguendo il suo istinto, e senza farsi comprare. Così avrà il rispetto di tutti».