Si chiamano Pride Reaction, sono le nuove “reazioni arcobaleno” che Facebook ha messo temporaneamente a disposizione per sostenere e celebrare il mese dell’orgoglio LGBTI. Per vedersi attivata questa reaction bisogna mettere “like” alla pagina LGBTQ@Facebook. In questo modo, al classico “mi piace” e alle altre reazioni standard, si aggiungerà come opzione anche l’arcobaleno, che, se cliccato, comparirà in piccolo sotto post, foto o status.
Un modo per manifestare il proprio orgoglio in modo social, sia come approvazione (in aggiunta a qualcosa che si condivide) sia come contestazione (per opporsi con un rainbow ad un contenuto omofobico). E sono proprio le potenzialità di questo secondo uso ad essere apparse subito chiare agli utenti LGBTI. I profili di noti personaggi omofobi e le pagine che osteggiano i diritti delle persone omosessuali e transessuali, sono stati “bombardati” da arcobaleni. Mario Adinolfi, bersaglio prediletto, ha dichiarato ad una radio di essere stato letteralmente invaso dagli arcobaleni, “me ne hanno messi a migliaia”.
L’occasione di far comparire Rainbow in miniatura sotto foto o post dai contenuti odiosamente omofobici, ha contagiato anche il sottoscritto.
“Se mi cercate sono sulla pagina… a mettere Pride Reaction come se non ci fosse un domani”.
Con questo status, l’11 giugno annunciavo scherzosamente di avere iniziato a far comparire arcobaleni sotto i post di una delle più odiose e omofobe pagine esistenti su Facebook (che volontariamente non cito). Una di quelle che dimostra come l’istigazione all’odio attraverso il pregiudizio e la mistificazione della realtà, non possa davvero più essere considerata “libertà di opinione”. Discorso complesso che meriterebbe uno sviluppo a parte. Il dato di fatto è che dopo quel mio status e dopo i primi arcobaleni comparsi sulla famigerata pagina, non solo sono stato bloccato dai suoi amministratori (come era facilmente prevedibile), ma hanno anche pubblicato il mio status come screenshot sulla bacheca, con tanto di mia foto, nome e cognome, e il seguente testo di accompagnamento:
“Poveri #Lgbt, si vede che se la spassano coi soldi pubblici sottratti alle famiglie bisognose. Lavorare no, vero? Presto o tardi la pacchia finirà”.
Sotto, i commenti più disparati:
“Ma avete visto che faccia ha quel tipo? Entrate nel suo profilo, fatevi 4 risate”;
“che sudiciume ragazzi. Altro che processione di riparazione. Qui ci vuole un esorcismo globale”;
“Mmm, ma sono sani secondo voi? Di mente dico, di corpo già sappiamo”;
“Ma esistono davvero? A volte, da buona cristiana, mi dicono: ma non sono tutti uguali, non facciamo di tutta l’erba un fascio. Invece sono proprio tutti uguali, non fanno neanche più ridere”.
Un atto di bullismo che lascia il tempo che trova, ma che uscendo dalla piccola vicenda personale, mette in risalto nella sua viltà qualcosa di più importante: il ribaltamento di ruoli avvenuto nel tempo tra omofobi e persone discriminate.
Mi spiego meglio: mentre le persone omosessuali vivono sempre di più allo scoperto ciò che sono, anche sui social (il mio profilo ad esempio è totalmente pubblico), gli amministratori di questa come di altre pagine “a tema”, sono totalmente anonimi, e rimangono tali anche dopo richiesta di palesarsi con nome e cognome. Non solo, anche chi commenta post omofobici come quello che mi ha messo alla berlina, la maggior parte delle volte ha un profilo anonimo o palesemente finto, con foto fake e iconografie cattoliche. Vero è che gli haters in rete sono spesso per definizione anonimi, ma queste persone dovrebbero essere ben orgogliose di sostenere a viso aperto opinioni che gli derivano da una integralista convinzione di fede. La questione allora potrebbe essere un’altra: mentre l’amore per se stessi e per la propria vita spinge la comunità LGBT ad essere sempre più visibile, l’odio e l’arretratezza degli omofobi, oltre a isolarli da un mondo che per fortuna sta cambiando, li spinge nel buio, nell’anonimato vile di chi non vuole essere riconosciuto.
Detto in modo ancora più chiaro, gli omofobi stanno diventando forse una minoranza, e per contrappasso vivono in piccolissima parte quel destino che per troppo tempo hanno riservato ad altri. Ecco perché a nascondersi non sono più tanto i gay, ma chi vorrebbe continuare a discriminarli. Un cambiamento di visibilità ancora più evidente durante il periodo delle celebrazioni dei Pride, con centinaia di migliaia di persone in tutta Italia disposte a scendere in piazza per i propri diritti: gay, lesbiche, trans, bisessuali, ma anche eterosessuali pronti a dire con la loro faccia in quale mondo credono e contro quale vogliono combattere. Persone che una volta si sarebbero nascoste, ma che oggi non vogliono e non possono più farlo.
Questo allora ho capito da una piccola esperienza personale di bullismo social, fatto da persone schermate dall’anonimato o da pseudonimi: che la vergogna l’abbiamo restituita a chi voleva e vorrebbe ancora attaccarcela addosso come una “reaction”; che per quanto odio possano coltivare e alimentare, oggi, a nascondermi non sono più io, non siamo più noi. A nascondersi sono sempre di più gli omofobi, sono loro a non avere il coraggio di uscire allo scoperto per dire ciò che pensano e ciò che sono.
Le persone LGBT vivono la loro vita alla luce del sole. Anzi, sono la loro stessa luce del sole, quella che con le unghie si sono conquistati. Quella che giorno dopo giorno, sta cacciando l’ignoranza e l’omofobia nel buio, nell’anonimato e nella vergogna un tempo riservati ad altri. E non servono rosari riparatori. Non si tornerà mai più indietro, perché la libertà crea dipendenza. Si va avanti, a viso aperto, con tanto orgoglio, nelle piazze come sui social. Avanti diritti, e a tutti, Buon Pride!