La prevenzione della violenza contro le donne e i bambini deve iniziare alla scuola dell’infanzia. Anzi, ancor prima: all’asilo nido. Per poi proseguire fino all’università. Perché la violenza contro donne e bambini è soprattutto frutto di una cultura del “non rispetto”. Che è compito della scuola combattere. A spiegarcene le ragioni è Patrizia Romito, docente alla facoltà di Psicologia dell’Università di Trieste, dove insegna Metodologia della ricerca e psicologia di comunità, autrice di varie pubblicazioni sulla violenza, nonché delegata del rettore per le Pari opportunità. Oggi pomeriggio la professoressa Romito presenterà a Roma l’edizione aggiornata del libro ‘La violenza su donne e minori. Una guida per chi lavora sul campo’ di cui è una delle curatrici. Al seminario, intitolato ‘Prevenire la violenza su donne e minori: il ruolo della scuola e dell’università’, promosso dall’Università di Trieste con il patrocinio del Senato, è attesa la partecipazione, tra gli altri, della ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli.
Per combattere la violenza sui più deboli ci vorrebbe una rivoluzione copernicana. E questa non può avvenire se non fin dal primo approccio del bambino con le istituzioni scolastiche. All’asilo nido, esemplifica Romito, sarebbe auspicabile che i bambini conoscessero anche figure maschili come insegnanti in modo da evitare loro l’impatto con gli stereotipi di genere. Alla scuola dell’infanzia si possono invece sensibilizzare i bambini, facendo loro capire che la risposta non può essere mai la violenza e la prevaricazione. “Fin dall’infanzia, cioè – spiega Romito – la scuola deve trasmettere a bambine e bambini i principi di rispetto e non violenza, mettendo in discussione gli stereotipi di genere che costituiscono la base culturale della violenza”. Oltre a una funzione culturale, la scuola deve avere anche gli strumenti per riconoscere i casi di violenza. “Bisogna che gli insegnanti siano in grado di capire i segni in bambini e adolescenti della violenza subita”. Anche l’università è chiamata a fare di più. Soprattutto su due fronti: “la ricerca sulla violenza e sull’efficacia delle misure preventive, repressive e riparative, e la formazione dei futuri professionisti e professioniste come ad esempio insegnanti, medici, giuristi, forze dell’ordine”.
La fotografia che della situazione attuale emerge dalla chiacchierata con Patrizia Romito è in chiaroscuro. Nella scuola, dall’infanzia alla secondaria, si contano tante iniziative di sensibilizzazione di bambini e ragazzi, anche se manca un coordinamento che sarebbe auspicabile anche a livello nazionale. La guida, che è il frutto della collaborazione di oltre quaranta autrici e autori e anticipa i temi della Convenzione di Istanbul, si candida a essere lo strumento di lavoro adatto per chi lavora nella prevenzione e nella lotta alla violenza contro donne e minori. “Siamo curiosi – chiosa Romito – di sapere che cosa ne pensa la ministra Fedeli”. La violenza contro le donne e contro i minori, conclude la professoressa, “rappresenta un infrangimento dei loro diritti umani fondamentali, nonché, per le sue conseguenze, un grave problema di salute pubblica e un costo rilevante, anche in termini economici, per la società intera”.