“Dario e il suo compagno hanno quindi deciso di sposarsi in Spagna….”. Correva l’anno 2007 e, in una afosa sera estiva, proprio mentre comunicavo ai miei genitori di avere un fidanzato, il destino voleva che Rai tre trasmettesse un programma sul matrimonio same-sex di un mio omonimo. Se lo avessi programmato non sarebbe stato così perfetto. Avevo ventinove anni, in TV non si parlava così spesso come oggi di coming-out e le unioni civili non erano nemmeno state concepite. Non è un caso che abbia scelto proprio quel momento. Avendo un lavoro stabile e un discreto stipendio i miei genitori si sarebbero preoccupati molto meno delle ripercussioni sul mio futuro. Vivendo da solo da qualche anno l’apprensione di mamma sulle mie frequentazioni si era ormai affievolita da tempo. Infine avere un rapporto stabile con un bravo ragazzo avrebbe attutito notevolmente il colpo. Il momento era perfetto e la trasmissione di Rai tre la cigliegina sulla torta. Tuttavia l’energia che mi costò quella serata avrebbe potuto illuminare Milano per almeno un mese.
Ripensandoci, mi domando se, oggi, quel coming-out in famiglia sarebbe stato diverso, meno oneroso, più precoce. Il dubbio non è peregrino, in pochi anni. Complice il gran passo in avanti fatto in tema di diritti, l’opinione pubblica è molto cambiata e il processo di accettazione di sé stessi ha subito una generale accelerazione. E’ la tesi emersa da “Accellerating Acceptance 2017” un recente studio pubblicato da GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation) una delle più influenti associazioni LGBT statutnitensi. Lo studio, condotto in USA da Harris Poll su dati raccolti on-line, ha rivelato che, ad oggi, i millennials (ossia i ragazzi che hanno un’età compresa tra i 18 e i 34 anni) hanno molti meno problemi a identificarsi come appartenenti al mondo LGBT* (lesbico-Gay-Bisessuale-Transessuale*) rispetto alle generazioni precedenti. Si identificano come LGBT* il 20% dei millenials, contro il 12% di persone di età compresa tra 35 e i 51 anni e il 7% di età tra i 52 e i 71 anni. Solo il 5% degli elders, ossia le persone dai 72 anni in su, si dichiara LGBT*.
Occorre precisare ai più sensibili e ai catastrofisti che questo non significa che vi sia un incremento di persone LGBT* negli Stati Uniti, non siamo in presenza di un’epidemia che trasforma in gay gli eterosessuali. Siamo invece di fronte a un cambiamento radicale nella percezione delle questioni legate all’orientamento sessuale e di genere. Semplicemente in USA la maggior parte dei millenials LGBT* non considerano più un disvalore il fatto di essere gay o lesbiche. E proprio per questo ne parlano apertamente, senza alcuna remora.
Ma vi è di più. Dallo studio emerge una refrattarietà dei più giovani a vedersi etichettati, qualunque sia l’inquadramento proposto. Emerge un rifiuto verso il sistema binario gay-eterosessuale, ma anche quello classico uomo-donna: il 12% dei millenials ha dichiarato di essere trasgender o gender non-conforming ossia di non identificarsi completamente con il genere assegnato alla nascita. Ed è proprio questo il dato veramente interessante che distanzia ancora di più le generazioni nuove dalla precedenti. Forse i millenials hanno scoperto che è meglio guardare dentro di sé e cercare di capirsi fino in fondo piuttosto che preoccuparsi del giudizio di chi li sta osservando dall’esterno. Chiamali stupidi…