Bambini piccolissimi, di età inferiore all’anno, sempre più spesso lasciati dai genitori con un cellulare tra le mani. E’ questa la fotografia scattata dal Centro per la Salute del Bambino Onlus, con la collaborazione dell’Associazione Culturale Pediatri, in un’indagine pubblicata nei giorni scorsi: quasi un genitore su tre (30,7%) dichiara al pediatra di lasciare “qualche volta” o “spesso” il proprio cellulare in mano al figlio. A colpire è che si tratti di bambini la cui età è al di sotto dei 12 mesi. Altro dato interessante è che almeno un terzo dei genitori intervistati affermi di usare le tecnologie per “tenere buono” il bambino, percentuale che aumenta rapidamente al crescere dell’età.
L’indagine è una tra le poche in Italia ad aver esplorato le abitudini di utilizzo dei dispositivi digitali nei bambini in età prescolare e ne conferma la diffusione. Già DoxaKids nel 2016 aveva evidenziato come, nel 65% delle famiglie che possiedono un tablet, i bambini di 3-5 anni lo possano utilizzare.
Oltre a domandarmi se il corpo umano prima o poi subirà una radicale trasformazione, a causa del nostro stare ripiegati (fin da piccoli) su uno schermo, mi interrogo sul possibile impatto psicologico di un utilizzo di tablet e smartphone da parte dei genitori nella gestione delle inquietudini dei figli più piccoli. Una domanda su tutte: se ci si affida a questi strumenti per calmarli e distrarli, cosa può accadere ai meccanismi psicologici che sono alla base dell’auto-regolazione e che iniziano a svilupparsi proprio a questa età?
Sebbene le ricerche a nostra disposizione su come i device influenzino lo sviluppo cognitivo e socio-emozionale in bambini piccoli siano ancora limitate, alcuni studi iniziano ad offrire interessanti spunti di riflessione.
Jenny Radesky, ricercatrice della Boston University, nel 2015 ha pubblicato uno studio sulla rivista Pediatrics nel quale ha riscontrato, in un campione di bambini piccoli, un legame tra uso eccessivo dei media – a scapito di attività fisica e interazioni con altri bambini e adulti – e deficit nei meccanismi di autoregolazione. I risultati dello studio confermano che l’uso dei sensi (e in particolare delle mani) nell’esplorazione del mondo e le interazioni con gli altri consentono ai bambini al di sotto dei due anni di essere più creativi e di apprendere di più: in particolare, le interazioni vis a vis e il gioco non strutturato sono indispensabili per la creatività, l’immaginazione, nell’acquisizione di abilità emozionali e capacità di problem solving.
Insomma, se è vero che i libri elettronici e le app per bambini sono utilissimi – tra le altre cose, per stimolare l’intelligenza del bambino, arricchire il suo vocabolario e facilitare la comprensione di un testo – un uso distorto di smartphone e tablet (o televisori) da parte dei genitori per calmare o distrarre i figli quando sono arrabbiati, irritati, ansiosi o agitati, può incidere negativamente sullo sviluppo sia delle abilità nella regolazione delle emozioni sia dell’empatia.
Che questi strumenti tecnologici possano rappresentare una facile via di fuga in caso di sentimenti “scomodi” è esperienza comune: chi di noi non ha mai pensato di contrastare un momento di solitudine immergendosi in un social o inviando rapidamente sms ad amici e parenti? Pubblichiamo una foto, accumuliamo un certo numero di like e per un istante si riempie quel senso di vuoto lasciato dalla solitudine. Ci illudiamo di essere meno soli.
La gestione delle emozioni, della loro durata e della loro intensità, tuttavia, non dovrebbe essere affidata troppo e troppo precocemente ad un mezzo tecnologico: diventare capaci di autoregolarci significa imparare a stare con le proprie emozioni, a tollerarle e a gestirle.
Il rischio è che i genitori e le altre figure educative, nel delegare allo strumento tecnologico la funzione di calmare o distrarre il proprio bambino, abdichino ad uno dei loro compiti più importanti: quello di insegnare ai bambini ad auto-regolarsi e a calmarsi, attraverso gli abbracci, gli sguardi, il tono di voce, la parola, il gioco e altre soluzioni creative. Nessun tablet potrà insegnare ad un bambino la capacità di identificare le emozioni, di differenziarle, di cogliere le emozioni altrui (ad esempio, dall’espressione del volto), di tranquillizzarsi.
E’ possibile che crescendo quel bambino trovi scomodo, faticoso e forse anche inutile, il confronto con certe emozioni e faccia di tutto per evitarle, perdendo informazioni importanti sul proprio stare al mondo e trovandosi in difficoltà ogni volta che le incontra sul proprio cammino.
Qualche giorno fa a Pistoia, lo scrittore torinese Fabio Geda, autore di libri per ragazzi, ha pronunciato bellissime parole a proposito della tendenza dei social a distrarci da noi stessi: “Ma le cose meravigliose accadono con frequenza maggiore dentro di noi. E se siamo troppo concentrati sul fuori, su ciò che capita agli altri, rischiamo di perderci i fuochi d’artificio che la solitudine sa far esplodere nell’intimità…”.