Oggi sono una madre in crisi. Ieri sera ho litigato per la prima volta con mio figlio. Per la prima volta perché lui ha tre anni e mezzo e per la prima volta perché, in questo caso, non si è trattato di una urlata o di un rimprovero, ma proprio di una litigata, ovvero di quelle situazioni in cui ci si scontra quasi alla pari con qualcuno, ammesso che ci si possa scontrare alla pari tra madre e figlio, tra un’adulta e un bambino.
Ci siamo battuti: cioè io ho urlato, a lungo, e lui ha risposto, mantenendosi saldo sulla sua posizione e senza cedere di un millimetro. Lacrime, singhiozzi, e No a valanga. Tra parentesi questa sua fermezza mi atterrisce e mi entusiasma. Mi entusiasma perché intuisco una tenacia che mi fa ben sperare per la sua qualità di futuro uomo. Mi atterrisce perché so già che sarò io il perimetro all’interno del quale questa tenacia si sperimenterà.
Tant’è torniamo al mio affanno. Sono in crisi perché ho messo in discussione la mia identità di madre. Figlia di una educazione tagliata sul dogma del verbo genitoriali, ho cercato di educare per antitesi. Affettiva fino all’eccesso. Fiduciosa nel valore delle parole anche quando dall’altra parte c’erano solo vagiti. Ho sclerato un milione di volte e un milione di volte mi sono morsicata la lingua, respirato a lungo e sfoderato un smagliante sorriso da madre amorevole. Tante volte ho mollato, ma insomma ci ho provato. Accade a molte, anzi penso che accada a tutte noi nate negli anni settanta (un giorno bisognerà aprire una riflessione sulle madri diventate tali negli anni settanta).
Il vulnus? iPad ti odio. Ebbene sì ho ceduto. Prima, qualche cartone nel momento di crisi (auto, fine cena a ristorante), poi qualche mese fa l’ingresso la sera. Insomma la dinamica: cena, cartoni, libro e iPad. Cinque minuti, sono diventati dieci e poi “ancora mamma”. Qualche volta “ancora due minuti e poi si dorme” ha funzionato. Altre volte no. Ieri sera non ha funzionato. Quindi è saltata la mia tenuta di madre votata alla persuasione piuttosto che all’imposizione. Quindi oggi sono una madre in crisi.
In un colpo solo ho misurato la mia fragilità rispetto al passato – perché per strutturarmi come madre ho l’urgenza di destrutturarmi come figlia? – e rispetto al futuro: la mia autorevolezza miseramente muore su uno schermo luccicante.