Un mondo di depravazione, abuso e corruzione, gestito da uomini immorali e dediti al vizio, viene positivamente sovvertito grazie alla presa di potere di un partito femminista che, portando le donne alle strutture apicali della società, potenzia le strutture amministrative grazie alla ricchezza dell’intelligenza di un genere troppo spesso tenuto ai margini della vita civile. È fantascienza, sì. Una provocazione che una scrittrice e giornalista nicaraguense, Gioconda Belli, ha affidato alle pagine di un romanzo, Nel Paese delle donne. Eppure, depurando la narrazione dai contenuti iperbolici, lo spunto è interessante per domandarci che mondo sarebbe se la parità di genere in Italia fosse un assunto dato per assodato, così come ci richiede la nostra Costituzione all’articolo 3, come cambierebbe la nostra vita civile, politica, amministrativa, economica se le donne avessero uguali opportunità di accesso alle professioni e uguale retribuzione degli uomini.
Non sono domande peregrine. Sono interrogativi ai quali dobbiamo trovare risposte puntuali e di prospettiva nel più breve tempo possibile. Perché un futuro sostenibile per il nostro Paese – ovvero quello che vogliamo per le nuove generazioni – è possibile solo se siamo in grado di realizzare nel presente una società che riconosce pari dignità alle sue cittadine e ai suoi cittadini, che rimuove ostacoli e pregiudizi che limitano la loro possibilità di scegliere chi diventare nel domani, che sostiene i percorsi di crescita delle ragazze e dei ragazzi con fiducia e abbattendo stereotipi secolari che li condizionano inconsapevolmente. L’Onu richiede il nostro impegno in tal senso, da adesso. L’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030, che anche il nostro Paese ha sottoscritto, si prefigge, tra gli obiettivi da raggiungere per costruire un futuro di crescita e di benessere, di colmare il divario di genere che penalizza le donne nella realizzazione dei propri sogni e delle loro ambizioni. E danneggia l’intero Paese, che si trova a godere soltanto di metà delle proprie risorse qualificate, per colpa di erronee convinzioni e infondati pregiudizi. Cambiare direzione è possibile. E stiamo già lavorando per questo. A partire dalla scuola, dall’università e dal mondo della ricerca, mondi che ho l’onore di servire grazie all’incarico che ricopro.
Giusto qualche esempio per visualizzare l’entità della questione. Studi della Commissione europea dimostrano che la partecipazione delle donne alla scienza e alla tecnologia può contribuire ad aumentare l’innovazione, la qualità e la competitività della ricerca. Eppure sapete quante studentesse italiane delle scuole secondarie di secondo grado scelgono studi tecnici o tecnologici? Solo il 16,3%. E le cose non vanno meglio se analizziamo lo stato dell’arte del mondo universitario: una rilevazione statistica relativa al 2015/2016 attesta che le donne sono il 55,2% degli iscritti a un corso di laurea. Ma se andiamo a verificare gli ambiti disciplinari scelti scopriremo che in quell’anno accademico il 78,5% frequentava corsi di Scienze Umanistiche, il 56,9% di Scienze sociali, solo il 37,6% studiava Ingegneria e Tecnologia. Un dato curioso che dimostra la naturale propensione delle donne per il sapere umanistico? No, piuttosto il risultato di un gap di genere, di condizionamenti inconsapevoli che le nostre ragazze subiscono ogni volta che di fronte a una loro ambizione o a un loro sogno, diverso da quello che la tradizione ha stabilito per loro, si sentono rispondere “non è roba da femmine”, “la donna per natura non è portata per queste discipline”. Riusciamo a comprendere quanto danneggiamo il futuro e lo sviluppo del nostro Paese, costringendolo a camminare monco verso il domani? Disperdendo queste straordinarie risorse professionali, queste indispensabili intelligenze? Senza contare, poi, il posizionamento delle donne tra le figure apicali dei contesti lavorativi e la questione remunerativa.
Il futuro del Paese passa per un presente del nostro sistema d’istruzione e formazione che va depurato da tutto ciò impedisce il pieno sviluppo delle nostre studentesse e dei nostri studenti. Al di là di discriminazioni volontarie, celate o inavvertite. Con la Buona Scuola abbiamo posto le basi per la definizione di questo percorso: con il comma 16 abbiamo stabilito che la scuola è una buona scuola se garantisce parità opportunità e il rispetto della dignità di tutte le sue studentesse e tutti i suoi studenti, rifiutando in maniera categorica qualsiasi discriminazione o violenza legata al genere. Abbiamo, poi, predisposto una serie di iniziative, di concerto con il Dipartimento per le Pari Opportunità di Palazzo Chigi, per avvicinare le ragazze al sapere scientifico, abbattendo quegli stereotipi che ne mutilano le possibilità di crescita: tra qualche settimana prenderà il via la seconda edizione del “Mese delle Stem”, un’iniziativa dedicata all’approfondimento delle opportunità che le discipline Stem (Science, Techonology, Engineering and Mathematics) offrono alle studentesse italiane, e abbiamo inserito nel Piano Nazionale Scuola Digitale una misura specifica – Girls in Tech – dedicata al potenziamento di questa sensibilità. E, in ultimo, stiamo lavorando e lavoreremo sempre di più per rendere più equilibrati i programmi scolastici, inserendo in maniera maggiormente significativa le tante donne, in ogni campo, che hanno avuto ruoli importanti nella definizione del sapere. Un nome su tutti, Grazia Deledda, premio Nobel che dobbiamo valorizzare attraverso lo studio della sua figura e della sua straordinaria opera. Individueremo, inoltre, altre personalità grazie ad una consultazione nazionale.
Ancora molto possiamo fare, ma posso dire che sono felice della strada che abbiamo imboccato. Perché non stiamo intervenendo su una questione così fondamentale attraverso azioni sporadiche ed effimere. Stiamo portando avanti un cambiamento culturale radicale e lo stiamo facendo a partire dalle scuole, che sono i luoghi in cui si semina il domani per vederlo germogliare vigoroso a beneficio della collettività.
Come sarà il futuro dell’istruzione in Italia? Non posso dirlo. Posso immaginarlo, posso desiderarlo. So che sarà uguale a quello del Paese, perché non c’è futuro che non passi dalla scuola. E so che sarà come decideremo che sia oggi, lavorando giorno dopo giorno per educare cittadini responsabili, avvertiti, consci delle proprie – pari – opportunità, rispettosi della diversità dell’altro. Pronto ad anticipare le sfide del mondo che verrà.