“Mamma, lo sai che Duch ha deciso di tornare in Polonia domani?” Così ha esordito il figlio di otto anni di una mia amica una mattina di qualche giorno fa al risveglio. Lei, lì per lì, si è un po’ preoccupata, perché Duch (si legge come in tedesco), che in polacco significa fantasma, è l’alter ego di suo figlio, il compagno di giochi, una specie di amico immaginario. E suo figlio è arrivato dalla Polonia quasi un anno fa. E, prontamente, ha incalzato: “Come torna in Polonia? Non sta bene qui con noi? Perché va via?”.
“No mamma… è che Duch ha 24 anni e io gliel’ho detto che qui si sta bene… ma lui vuole tornare.”
“Vabbè, ma non torna più a trovarti?”
“Dice forse ad aprile.”
“E a te dispiace?”
“Ma no, tanto io ho mamma e papà!”
“Beh, a me un po’ Duch mancherà, digli che quando vuole la porta è sempre aperta.”
“Sì, anche papà mi ha detto di dirglielo.”
La notizia che Duch sia partito è in realtà una bellissima notizia. Duch non era una presenza invadente: giocava con il bambino a biliardino, ogni tanto vinceva, ogni tanto perdeva. Era quello cui attribuire le marachelle quando mamma e papà ne scoprivano una e chiedevano chi fosse il colpevole. È stato un compagno prezioso, ma ora non c’è più bisogno di lui: perché, a quasi un anno di distanza dall’adozione, il bambino finalmente si sente sicuro. Ora ha una mamma e un papà con cui stare e che si prendono cura di lui.
In generale, un anno è il tempo di assestamento che mediamente ci vuole per amalgamare la nuova famiglia e trovare un certo equilibrio. E il piccolo, con questo splendido e originale modo, come solo i bambini sanno fare, ha annunciato ai suoi genitori che questo tempo si è concluso.
La letteratura psicologica è concorde nell’affermare che la creazione di un amico immaginario da parte dei bambini non solo non sé preoccupante, ma è indice di una buona capacità di adattamento a situazioni di cambiamento. Richiede spirito di iniziativa, capacità creativa, intelligenza e rappresenta un uso sano della fantasia e del gioco per affrontare la realtà. Già Piaget, nel 1945, attribuiva al compagno immaginario un ruolo importante nella crescita e nello sviluppo del bambino, riconoscendogli alcune fondamentali funzioni: consolatoria, compensatoria, moralizzatrice, di stimolo e di rassicurazione.
Proviamo a metterci nei suoi panni e a immaginare come si possa sentire un bambino di soli sette anni, come in questo caso, che arrivi in Italia da un paese straniero, senza punti di riferimento, nemmeno quello della lingua. In tutti questi mesi Duch è stato fondamentale: con lui ha condiviso le ansie della nuova vita, anche grazie a lui ha potuto adattarsi ai numerosi cambiamenti, portando fuori di sé le paure, le emozioni di questa nuova avventura per elaborarle.
Non è detto che non ci sia ancora bisogno di lui, infatti la porta rimane aperta. Magari tornerà più avanti, come annuncia il bambino, verrà tra qualche mese per controllare che tutto sia a posto.