Cresce l’età dei bambini che arrivano in adozione, molti giungono nella nuova famiglia in età scolare. Questo significa che già dopo pochi mesi dall’arrivo in Italia iniziano a frequentare la scuola primaria. Impegnativo per loro, che si ritrovano per ore e ore in una giornata ad ascoltare la maestra che spiega in una lingua diversa e a cimentarsi con tutte le difficoltà di elaborazione e comprensione di testi ed esercizi e di relazione con i compagni. Un errore di valutazione che spesso viene fatto dal mondo scolastico è quello di accomunare linguisticamente i bambini adottati ai bambini stranieri appena arrivati.
Apparentemente hanno parecchio in comune: arrivano entrambi da un Paese straniero e parlano un’altra lingua. Ma c’è una differenza non da poco: una volta uscito da scuola, il bambino straniero arrivato con la sua famiglia in Italia continua a parlare la lingua madre a casa con i genitori e i fratelli, e conserva le sue abitudini linguistiche, l’italiano è la lingua che sente e che parla a scuola o in società.
Il bambino adottato, invece, perde improvvisamente ogni legame con la lingua madre. La sua nuova famiglia parla un’altra lingua, che diventa da subito quella della sua quotidianità. È una questione di sopravvivenza: deve imparare immediatamente a comunicare ogni bisogno, paura, desiderio. Per questo i bambini adottati imparano la lingua così in fretta, è una necessità vitale.
Ho cercato spesso di mettermi nei panni delle mie figlie nei primi mesi. E provare a rovesciare la situazione con l’immaginazione. Come sarebbe stato per me essere catapultata in Etiopia tra persone che parlano solo amarico (io che con gran fatica avevo imparato a malapena una trentina di parole)? E se avessi dovuto andare a lavorare o scrivere utilizzando quella lingua così complessa, così differente?
Tutta la fatica che i bambini adottivi fanno nell’imparare la nuova lingua è espressa in modo magistrale nel racconto che mi ha fatto un’amica di un episodio di vita di suo figlio di 7 anni, polacco, in prima elementare, in Italia da pochi mesi. Il bimbo stava giocando nel cortile della scuola con un gruppetto di compagni. Uno di questi stava spiegando le regole di un nuovo gioco e un paio di volte il figlio della mia amica aveva fatto segno con il capo di non avere capito.
“Ma non capisci?”, gli ha chiesto il compagno spazientito.
Lì per lì il bambino non ha reagito ma poi è andato dalla maestra chiedendole di aiutarlo a disporre i bambini in cerchio.
“Vuoi fare il maestro al posto mio?”, ha chiesto l’insegnante.
“No, voglio solo insegnargli a contare fino a 10 in polacco!”.
I bambini sono stati volentieri al gioco, ripetendo i numeri dopo di lui in quella strana lingua.
Dopo essere arrivati con gran fatica fino al 4, il bambino ha esclamato: “Io sono polacco e sono adottato. In 5 mesi ho imparato l’italiano, voi in 5 minuti non siete riusciti a contare fino a 4!”.
Un finale degno di una favola di Esopo.