Amo i gruppi Whatsapp dei genitori. Questa ammissione, lo so, può gettarmi nel discredito più totale, come tutto ciò che è pacchiano e grossolano. Come chi se ne esce raccontando dell’ultima puntata della Posta di Maria o della domenica trascorsa al centro commerciale. Invece confesso di aver invidia per la mia ex moglie che sapeva di merende, feste, scioperi a scuola, menu della mensa, che riusciva a conoscere così tanto della vita di nostra figlia fuori dalle mura domestiche. Il gruppo Whatsapp si chiamava mamme della Verde. Ho chiesto di poter essere ammesso, sono stato gentilmente accolto e ora il gruppo si chiama classe verde.
L’ho fatto perché sono convinto che la tecnologia possa aiutare a conciliare lavoro e vita privata e possa coagulare solide comunità di scopo. La fretta e il poco tempo sono ostacoli alla socializzazione fra adulti, che in comune hanno le grandi amicizie nate fra i loro figli, e le chat compensano, avvicinano, hanno un uso pratico e sono anche inconcludente cicaleggio. Mimano la vita, insomma.
Eppure quest’argomento ha anche un versante squisitamente educativo e accende il dibattito intorno agli effetti di deresponsabilizzazione che chat e tecnologie, come strumenti di intromissione indebita, possano avere sui nostri figli. Questo tema è stato oggetto di un celeberrimo post di Monica D’Ascenzo che scriveva “Oggi mandiamo i bambini a scuola con la rete di protezione. Se cadono, rimbalzano e non si fanno male… Perché stiamo facendo questo ai nostri figli? Perché stiamo togliendo loro la possibilità di gestire le informazioni che riguardano la loro vita?”.
Lo facciamo, credo, per molti motivi, come l’agio, l’apprensione che attanaglia gli assenti, e altri ancora, alcuni dei quali contribuiscono a farci barattare quotidianamente libertà per svago. Dal canto mio, penso che l’accudimento sia troppo solo quando l’altro dice basta e cerca la fuga, e io scelgo questo per mia figlia. Voglio che la sua indipendenza sia una conquista, che la sua libertà abbia il sapore dolce della liberazione. Desidero che impari a mentirmi e che un giorno metta in discussione tutto quello che mi concerne, perché mi piacerà abbracciare una donna che ha scelto da se’ la propria vita e l’amore che riterrà giusto accordarmi. Sarò felice di saperla in grado di sfuggire, intellettualmente e magari concretamente, da me e dalle molte istituzioni che fanno del controllo disciplinare e del consenso i loro fini inconfessabili.