Un istituto giuridico di cui troppo poco si sente parlare ma che svolge un ruolo sociale fondamentale nella tutela dell’infanzia è l’affido. Da non confondere, come a volte accade, con l’adozione. L’affido è un provvedimento di carattere temporaneo, della durata massima di 24 mesi, che si rivolge a un nucleo familiare in difficoltà dove siano presenti bambini o ragazzi fino a 18 anni.
La legge di riferimento è la n. 184/1983, modificata dalla 149 del 28 marzo 2001.
Quello che viene richiesto agli aspiranti affidatari è capacità di accoglienza, disponibilità affettiva, capacità educativa e, soprattutto, consapevolezza del ruolo e dell’importanza della famiglia di origine. Il bambino, infatti, solitamente non interrompe i rapporti con i genitori durante il periodo di affidamento in un’ottica di reinserimento in famiglia al termine dell’esperienza.
Abbiamo chiesto a Simona, mamma affidataria con due esperienze diverse all’attivo, di aiutarci a capire meglio cos’è l’affido: “È una risposta a situazioni di bisogno che permette l’affidamento temporaneo da parte dei Servizi sociali o del Tribunale di minorenni per ragioni diverse legate a situazioni di difficoltà della famiglia naturale. La protezione e la tutela del minore sono gli obiettivi dell’affido, che consiste nell’inserire in un nucleo familiare diverso da quello originario, per un tempo variabile, minori altrimenti in condizioni di rischio o di danno evolutivo (fisico, educativo, emotivo, affettivo) a cui la famiglia d’origine non sembra in grado di fare fronte o che, addirittura, contribuisce, in parte o totalmente, a creare. Esistono varie tipologie di affido: affido residenziale, affido part time, affido per brevi periodi, affido diurno, affido etero familiare, affido a parenti”.
Vediamone alcuni nel dettaglio. Nell’affido residenziale il bambino viene accolto presso la casa della famiglia affidataria che si impegna ad assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione, le relazioni affettive e si occupa di tutti i suoi bisogni. La disponibilità richiesta dall’affido part time è invece per tempi delimitati: week end, periodi di vacanza, festività o poche ore al giorno, a seconda della disponibilità della famiglia affidataria. Nell’affido diurno il bambino trascorre con la famiglia affidataria parte della giornata, ma alla sera torna a casa dai suoi genitori.
Per quanto riguarda la preparazione degli aspiranti affidatari, ci spiega Simona: “Nell’affido la formazione è una parte importante. Non tutti i progetti di affido però lo prevedono, ma a mio parere è fondamentale. Ti fornisce strumenti, ti rassicura e ti permette di porti molte domande e confrontarti con gli operatori dell’affido. Una parte molto impegnativa e delicata è quella legata alla ‘selezione’, in cui è previsto un percorso di valutazione socio-psicologica da parte di un’equipe composta da psicologi e assistenti sociali dove vengono affrontate e indagate tematiche individuali, di coppia e familiari”.
Ogni esperienza di affido è a sé, in base alla storia e alla realtà del bambino viene costruito dai Servizi sociali un percorso ad hoc, che potrebbe anche subire delle variazioni in corso d’opera se intervengono cambiamenti significativi nella famiglia d’origine. E, infatti continua Simona: “Tra le caratteristiche fondamentali che le famiglie affidatarie devono possedere ci sono sicuramente l’elasticità e la capacità di adattarsi e tollerare i cambiamenti di direzione nei progetti”.
Non ci sono limitazioni: possono offrire la propria disponibilità all’affidamento sia coppie coniugate con o senza figli, sia coppie non coniugate, sia single. Non ci sono requisiti di età, né di reddito stabiliti per legge. Tra i diritti riconosciuti all’affidatario ci sono le facilitazioni sul lavoro riconosciute per legge ai genitori (congedo di maternità e paternità, congedo parentale, congedo per malattia del figlio, riposi giornalieri) e le misure di sostegno e di aiuto economico che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, nei limiti delle loro disponibilità finanziarie, dispongono a favore della famiglia affidataria.
E allora, perché non aprire le porte della nostra casa all’accoglienza?