Naufraga a nove mesi, il potere di un volto che andava schermato

 imageC’è una foto che in questi giorni ha fatto il giro del mondo. Ma non avrebbe dovuto.
“Va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua (bambino o minore in genere, ndr) identificazione, quali le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire alla sua individuazione. Analogo comportamento deve essere osservato per episodi di pedofilia , abusi e reati di ogni genere”. Lo dice la Carta di Treviso “documento e codice deontologico varato ed approvato nel 1990 dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi – di intesa con Telefono Azzurro e con Enti e Istituzioni della Città di Treviso”. Ecco. E allora perché sono solo due le testate che hanno reso irriconoscibile il volto della bambina di nove mesi salvata nell’ultimo naufragio al largo della Libia?
Tutte le altre, almeno quelle a maggiore diffusione, hanno pubblicato quel viso senza nessun rispetto, non della Carta di Treviso perlomeno. Perché? Il sospetto è che faccia audience. Perché Favour, così si chiama questa piccola sopravvissuta alla madre, morta incinta di un altro bambino, avrebbe già tutti gli ingredienti della storia che si fa leggere. E’ una bambina sana rimasta orfana in una circostanza tragica. Ma è in quella immagine di lei in braccio al direttore sanitario di Lampedusa che l’emotività sale. E moltiplica i click. Non a caso, “si è scatenata la gara di solidarietà per adottare la bambina. Telefonano perfino dall’estero”. Perfino. Ci sarebbe da esserne contenti, perché vedere finalmente una reazione di solidarietà per queste persone che si mettono in mare sfidando una morte forse migliore di quella che li aspetta nei loro paesi, per certi versi rincuora. Però poi l’adozione è un’altra cosa, anche quella dei bambini così piccoli, con gli occhi che sembrano parlare a te e un volto che scatenerebbe l’istinto di protezione di chiunque. Non si può rimanere indifferenti a quello sguardo che ha già visto troppo a nove mesi, lo sappiamo noi che guardiamo quella foto pubblicata. Però, per chi ce l’ha in mano, e deve decidere se pubblicarla in modo integrale o meno, l’emotività non può essere un buon criterio di scelta. Né, nella migliore delle ipotesi, per dare ai naufragi quotidiani la dignità di notizia. E nemmeno, nella peggiore, a favore di click baiting.