La tubatura perde e in tre punti diversi. In inglese “pipeline” suona meglio, ma la sostanza non cambia. La carriera delle donne nelle aziende ha tre punti cruciali che potrebbero rivelarsi degli “stop”, momentanei ma anche definitivi. La situazione è stata fotografa da McKinsey in collaborazione con l’associazione LeanIn nel Women Matter 2016: 30mila intervistati di 118 aziende nord americane hanno sottolineato come il problema per le donne all’interno delle aziende sta nelle difficoltà all’ingresso, nel rimanere in posizioni intermedie e nella chiusura dell’accesso ai vertici.
Mi è capitato spesso di parlare con manager (uomini) che lamentavano proprio queste tre cose, dichiarando ufficialmente di voler fare qualcosa per cambiare la situazione. Ma cosa? è la domanda che generalmente fanno.
Per attirare curriculum femminili alla selezione conta molto la reputazione aziendale, che si costruisce con le strutture e le policy interne e con la comunicazione. Ma questa è un’altra storia. Se si ricevono i cv il problema si presenta alla selezione: alcuni si stupiscono che a passare siano solo candidati uomini. Che siano uomini o donne i selezionatori poco importa, anche queste ultime sono vittime degli stereotipi. Per “sterilizzare” il processo di selezione la prima accortezza può essere quella di renderla il più possibile anonima, in modo che anche chi sceglie i cv non sia influenzato dal genere, Stessa cosa si dica per i test. Un esperimento in questo senso era stato fatto in un’orchestra: facendo suonare i candidati senza sapere se fossero uomini o donne, il numero di donne selezionate aumentò rispetto alla prova tradizionale. Non solo. A volte sono i metodi scelti per porre le domande o per correggere i test che falsano i risultati: in Banca d’Italia, ad esempio, realizzarono che non potevano contare come penalizzante la risposta non data più di quella sbagliata perché andava a danno delle donne, che quando non sanno piuttosto che buttarsi lasciano in bianco il foglio. Naturalmente sono solo alcuni esempi per migliorare le prove di ingresso e renderle “gender free”.
Altra fase cruciale è quella a metà percorso di carriera: a quel punto, spesso, le donne si trovano in una fase di discontinuità della propria vita professionale per via della maternità. Trasformare questa discontinuità in continuità da parte delle aziende può essere una carta vincente per non perdere talenti. E qui le iniziative che possono essere implementate per non far sentire fuori dai giochi la neomamma sono diversi. Ma anche aldilà delle maternità, la terra di mezzo resta una palude per molte. Ai vertici di gran parte delle aziende ci sono uomini, portati molto spesso a promuovere propri simili perché ci si rivede in loro, li si conosce e questo rende il processo molto più rassicurante. Fare in modo che nelle policy aziendali siano previste delle “quote di genere” fra i candidati a una promozione. Non dovrebbe essere necessario, ma a volte si rende necessario. E’ utile anche cambiare l’organizzazione, troppo spesso declinata su tempi di vista “maschili” con riunioni dopo le sei di sera, mancanza di flessibilità sui luoghi di lavoro, trasferte a volte inutilmente lunghe, solo per fare alcuni esempi.
Il vero ostacolo, però, sta nell’accesso alle posizioni di vertice. Se l’organizzazione, la selezione e i processi di promozione vengono riorganizzati, un’ulteriore fattore positivo è quello della trasparenza negli aumenti, nelle promozioni e nei processi di carriera. La trasparenza crea di per sé controllo e quindi autodisciplina nel prendere le decisioni.
Certo queste sono riflessioni di buon senso, che potrebbero anche non fare la differenza, ma fino a quando non si proverà a metterle in pratica, seriamente e non solo a parole, non se ne avrà la riprova. E la fotografia degli organigrammi delle aziende rischia di restare quella qui di seguito rappresentato (per settori industriali) per il Nord America, che vede la percentuale femminile assottigliersi con il salire nella piramide professionale.