L’altro giorno ho avuto la fortissima tentazione di sbirciare la busta paga del mio compagno di scrivania. Stesso incarico, vicini per età, uguali mansioni. Chissà se anch’io rientro nella media europea per cui le donne – a parità di lavoro – guadagnano il 16% in meno degli uomini? E se sì quale misterioso arcano ha deciso di condannarmi a una pensione inferiore, oltre che a una valutazione al ribasso del mio lavoro? Siamo dunque destinate allo stipendio light per l’eternità? Partiamo dall’inizio.
La fredda statistica
L’asimmetria salariale esiste, e con questo dobbiamo fare i conti una volta per tutte. Eurostat, nella sua ultima indagine sull’Unione a 28, riporta come media continentale una differenza salariale del 16%. La stessa indagine rileva una forbice che varia a seconda dei Paesi: il dato scende sotto il 10% per alcuni Paesi, tra cui l’Italia che si attesta al 7,2% (ci poteva andare peggio!) e risale sforando il 20% per Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Germania. La ricerca dice anche che le donne sono più brave negli studi: l’83% possiede un diploma di istruzione secondaria contro il 77,6 degli uomini. Ultimo dato: la popolazione femminile rappresenta il 60% dei laureati. Magra consolazione: più preparate, meno pagate. Dov’è che il meccanismo s’inceppa?
La prima battaglia
“Le donne entrano nel mondo del lavoro scontando un gap di partenza – afferma Paola Profeta, docente di Scienza delle Finanze alla Bocconi – Il primo scoglio è di natura culturale: agli occhi dell’azienda la donna rimane deputata al lavoro domestico, alla crescita dei figli”. Ma l’azienda, spiega l’esperta, riflette una serie di comportamenti di tipo stereotipo che ancora hanno luogo all’interno della famiglia e della coppia. “Il primo passaggio da fare, quindi, è quello di riequilibrare i ruoli con il partner accettando di perder l’esclusiva di “colei che si fa carico di tutto”. Mettere queste condizioni di parità dipende solo dalla donna”. Fuori dall’ambito politico, la politica può fare molto. “Come spingere i congedi di paternità. I maschi a casa – continua Profeta – bilanciano e aiutano a diluire il carico psicologico e affettivo della donna che lavora”.
Donne meno produttive?
Ma il doppio carico lavoro-cura della famiglia rende le donne meno produttive e quindi giustifica il fatto che siano pagate meno? “Le ricerche tradizionali hanno fino ad oggi spiegato il “divario di genere” basandosi sulla differenza di produttività: sul lavoro le donne ottengono risultati diversi o perché investono meno in capitale umano, lavorando ad esempio meno ore, o perché sono più impegnate con carichi maggiori in famiglia”, commenta Maria De Paola, professore di Politica Economica dell’Università della Calabria.
Se c’è parte di verità in queste conclusioni, aggiunge De Paola, è pur vero che le donne in sé non sono meno produttive. Un celebre studio ha mostrato che musicisti di sesso femminile hanno aumentato le loro probabilità di essere assunte in un’orchestra sinfonica dopo l’introduzione di audizioni cieche, nascondendo la propria identità alla giuria: ciò dimostra che la discriminazione continua ad avere un ruolo forte nel determinare le differenze di trattamento tra uomini e donne nel mondo del lavoro.
Piangere sul lavoro è davvero così scandaloso?
“Un filone recente della letteratura – continua – prende in considerazione il fatto che le donne potrebbero avere atteggamenti psicologici e preferenze diverse rispetto ai maschi”. Insomma le donne non rendono meno in assoluto, ma mostrano una diversità di attitudini in un mondo in cui le regole le fanno gli uomini. De Paola aggiunge: “Alcuni studi raccontano che le donne sono meno competitive e più altruiste, meno aggressive ma anche meno capaci di rielaborare risposte negative e hanno meno fiducia in se stesse. Ma chi può dire che in assoluto sul lavoro è meglio un comportamento aggressivo piuttosto che pacato? Siamo semplicemente diversi e questo ha precise conseguenze. Vanno creati quindi ambienti di lavoro capaci di accogliere uomini e donne con le caratteristiche psicologiche che sono loro proprie”. Forse è arrivato il momento di domandarci se piangere al lavoro e poi così scandaloso.