Lavoro, come evitare gli effetti collaterali del pendolarismo

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Che fortuna che hai a fare quel lavoro! Sei sempre in giro! Ecco, d’ora in avanti chi dovesse sentirsi rivolgere questa frase, generalmente esclamata con una punta di ammirazione e una di invidia, magari mentre prepara l’ennesima valigia in pochi giorni, potrà rispondere anche no, perché partire è davvero un po’come morire. O almeno partire troppo spesso e farlo per business.

Secondo uno studio recente pubblicato dall’americano Journal of Occupational and Environmental Medicine le ore in viaggio in qualche modo hanno un impatto sulla salute mentale dei lavoratori. In particolare, chi sta fuori casa ventuno o più notti al mese per lavoro, rispetto a chi lo fa da una a sei notti nello stesso periodo di tempo, avrebbe più probabilità di sviluppare una serie di disturbi tra cui: dipendenza dal fumo e dall’alcol, cattiva qualità del sonno, ansia, depressione, sedentarietà.

La ricerca si conclude con quella che potrebbe essere la cura per rimediare a questo disagio, e cioè che i datori di lavoro predispongano programmi per aiutare i dipendenti a gestire lo stress e a mantenersi in salute durante i viaggi di lavoro. Anche per i lavoratori che si spostano come pendolari e non per le trasferte lo stress è in agguato. Uno studio condotto dall’Office for National Statistics nel Regno Unito ha rilevato che coloro che fanno lunghi viaggi per raggiungere il posto di lavoro hanno maggiori probabilità di essere ansiosi e insoddisfatti, anche se ben pagati. E secondo i ricercatori svedesi dell’Università di Umeå, il pendolarismo potrebbe anche essere causa di divorzio. Ancora, dice il Censis che i pendolari italiani sono 13 milioni, cioè il 22% della popolazione (ritmo di crescita 7% l’anno), e che impiegano in media un’ottantina di minuti per gli spostamenti giornalieri, ovvero un mese e mezzo della loro vita lavorativa trascorsa al volante, in metropolitana e in treno. Insomma, ce ne sarebbe abbastanza da pensare che, se si vuole lavorare ed essere felici, è meglio farlo un po’ più da casa.

Stando ai dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2017 il lavoro agile ha subito un balzo in avanti del 14% e gli smart worker in Italia hanno superato il tetto dei 300mila. Sempre secondo la ricerca del Politecnico il lavoro agile registrerebbe una maggiore soddisfazione (soltanto l’1% degli smart worker si dichiara insoddisfatto del proprio lavoro, contro il 17% dei colleghi che non possono usufruire di queste forme di flessibilità) e una maggiore facilità nei rapporti: chi lavora in aziende flessibili ha mediamente relazioni più appaganti e positive con i colleghi e i superiori. Secondo le stime degli esperti, l’adozione di un modello maturo di smart working corrisponde a un incremento di produttività del 15%: se quindi questo modello fosse applicato in tutto il Paese, porterebbe a un incremento di produttività superiore ai 13 miliardi di euro. Insomma, che il vero #mollotutto oggi non sia fare la valigia ma lavorare (anche) da casa?