Flat sharing e social housing: coinquilini a 40 anni

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Nel film Poveri ma belli di Dino Risi due personaggi condividono la stessa stanza in un appartamento senza incontrarsi mai. Era il 1956 e in quegli anni le convivenze tra giovani erano un passaggio obbligato dagli spostamenti in città in cerca di lavoro, come oggi si va “fuori sede” per studiare. Con gli anni il flat sharing ha assunto connotazioni sempre più romantiche, legate alla giovinezza, al divertimento, all’amicizia.

3681-03-trecuoriinaffittoChi non ricorda le sit-com Tre cuori in affitto e Friends, che in due momenti storico-economici differenti hanno pennellato due generazioni che della convivenza hanno fatto un rito di passaggio all’età adulta. Negli ultimi anni è stata poi la volta di Peep show, sitcom britannica che ruota attorno all’amicizia di due improbabili coinquilini. Nel 2015 uno dei personaggi compie 40 anni e chiude la serie con questa battuta: “Due uomini di mezza età che condividono un appartamento, è così triste. È tempo di smetterla, siamo diventati vecchi”.

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In quello stesso anno Spareroom (www.spareroom.co.uk), il più importante sito britannico per cercare il coinquilino perfetto, informava che i flatshares tra i 35 e i 44 anni di età erano aumentati del 186%, mentre quelli fra i 45 e i 54 anni del 300%.
Qui in Italia lo scorso anno Doxa ha presentato una ricerca condotta per Idealista, uno degli Spareroom nostrani. I Millenials escono di casa molto più tardi rispetto alle generazioni precedenti, dopo i 30 anni, e optano per l’affitto invece che per l’acquisto.

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Già nel 2013 il responsabile ufficio studi di Idealista Vincenzo De Tommaso, affermava: “2 utenti su 3 sono trentenni e quarantenni. In questi anni il fenomeno si è tramutato da un fatto studentesco a un fatto economico”. È una delle conseguenze del precariato: i contratti di lavoro atipici, il lavoro autonomo senza protezioni e il progressivo allungamento della transizione verso una stabilità lavorativa, rendono inaccessibili i mutui. Allo stesso tempo per via del costante aumento degli affitti nelle grandi città è impossbile anche vivere in autonomia, se consideriamo che il prezzo medio di un appartamento di 60mq oscilla dai 500 agli 850 euro mensili. Praticamente uno stipendio, per la generazione “1000 euro? Ma magari”.

Il flat sharing ormai non è più una soluzione per studenti, ma un naturale proseguimento abitativo anche superati i 40 anni. Talvolta anche in coppia, come nel caso di Francesca e Giuseppe. Free-lance di 39 anni lei, agente di commercio di 43 anni lui, vivono a Bari e condividono l’affitto con un coinquilino. Dice Francesca: “Di sicuro è una scelta economica, ma non nego di vivere una condizione un po’ ossimorica. Da una parte non vedo l’ora di non avere più un coinquilino, dall’altra quando torna a casa la sera lo abbraccio contenta di vederlo”.

Non si può fare diversamente, ma si scopre che ci sono anche dei benefici. Necessità e virtù. Questo modo di vivere dovrà per forza di cose comportare un cambiamento sociale e di conseguenza nelle politiche abitative. Massimo Bricocoli e Stefania Sabatinelli, due urbanisti del Politecnico di Milano, si occupano almeno dal 2012 di studiare e osservare questi mutamenti. Nel saggio I giovani come osservatorio per una riflessione sulle politiche dell’abitare sociale scrivono: “La riduzione delle dimensioni medie dei nuclei famigliari con l’aumento di single, nuclei monoparentali, famiglie ricomposte, sono fattori che aumentano una domanda abitativa articolata e atipica. Rileviamo, in Europa e in Italia, un ritorno di interesse per l’abitare collettivo, riletto alla luce delle retoriche e delle pratiche della condivisione”.

cohousingI due docenti individuano come una delle possibili risposte efficaci le esperienze di housing sociale già sperimentate con successo in molte città europee, che avrebbero il pregio di valorizzare il patrimonio edilizio pubblico e di rendere le città metropolitane un soggetto attivo nel risolvere una situazione di stallo e di cecità nel nostro welfare.
Senza contare che per molti giovani professionisti la casa è anche spazio lavorativo, si pensi alla diffusione dei coworking nelle grandi città. L’housing sociale, come nucleo che va oltre il concetto di semplice abitazione, rende più efficiente la quotidianità ed è un elemento di sviluppo urbano, un luogo di trasformazione della criticità attuale in innovazione sociale.

Di sicuro sappiamo che non c’è innovazione sociale senza un bisogno da soddisfare. Sarà dunque curioso osservare dove e come ci porteranno ad abitare, nel lungo termine, le soluzioni di questa generazione a un bisogno tanto impellente come la casa.

  • Silvia |

    É uno dei miei sogni poter condividere gli spazi con più di una famiglia

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