Adolescenti in crisi di empatia. E i genitori?

cell adolescentiUna diciassettenne violentata nel bagno di una discoteca e le amiche che registrano un video e lo fanno circolare su Whatsapp. Questo episodio di cronaca continua a ronzarmi nella testa da giorni, anche perché sono amica di mamme di adolescenti e, ultimamente,
sempre più spesso condividono paure, ansie e anche domande sui loro figli e sulle loro (non) reazioni rispetto al disagio altrui.

Com’è possibile che delle ragazze davanti alla violenza su una loro amica non intervengano per salvarla ma decidano di riprenderla col telefonino? Certo, è un episodio estremo, ma l’apparente “insensibilità” degli adolescenti sembra essere un tema quotidiano e non solo da cronaca nera.

Cosa succede? Sta crescendo una generazione di mostri? E’ colpa di internet? Sono potenziali esecutori a loro volta di violenze? Ne ho parlato con Barbara Forresi, psicoterapeuta che da anni si occupa di adolescenti e nuove tecnologie, e come sempre la risposta è più complessa.

Un primo problema è l’empatia, ovvero la capacità di mettersi nei panni dell’altro. Il neuroscienziato Rizzolatti ha mostrato che, grazie ai neuroni specchio, dovremmo essere naturalmente predisposti all’empatia, cioè alla condivisione del vissuto dell’altro, alla percezione delle sue stesse sensazioni ed emozioni. “Secondo alcuni autori, empatizzare con una persona che sta soffrendo – spiega la dott. Forresi – rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto. Non confortare l’altro dovrebbe, invece, indurre un senso di colpa”.

Il problema con gli adolescenti è che, secondo studi recenti, la maturazione della capacità di essere empatici giunge a compimento proprio nel corso dell’adolescenza ed è strettamente connessa allo sviluppo cognitivo. In sostanza, è assai comune in adolescenza non avere ancora maturato le complesse competenze cognitive ed empatiche utili a comprendere e a soccorrere un amico in difficoltà.

“Alcuni adolescenti – spiega la dott Forresi – possono capire la prospettiva dell’altro ma non provano compassione. Oppure possono provare compassione ma non sono spinti ad intervenire; altri ancora non si sentono in colpa se non fanno nulla, perché difesi da una serie di pensieri che i terapeuti si sentono spesso raccontare nei loro studi: “in fondo io non ho fatto niente di male, non ero io che stavo commettendo una violenza”, “era solo un video…”. In questo, spesso sostenuti da genitori che li difendono e accusano la rete di non fermare il dito dei figli prima che prema invio”.

Oltre a questo parziale sviluppo della capacità empatica, gli adolescenti sono molto sensibili anche alla pressione dei coetanei, al desiderio di essere accettati dal gruppo e alla spinta narcisistica (postando qualcosa di “forte” sui social si possono ricevere centinaia di like): ed ecco che la probabilità di impegnarsi in un comportamento altruistico si riduce drammaticamente.

Detto questo, però, all’empatia i ragazzi vanno allenati e le spiegazioni non possono diventare giustificazioni.

“Serve un surplus di empatia – dice la dottoressa – una vera e propria educazione finalizzata. Gli adulti devono essere un modello per i ragazzi in questo senso, devono offrire esempi di altruismo con il loro comportamento, anche online. E’ bene inoltre ragionare ad alta voce sui punti di vista e sulle emozioni altrui, aiutarli a cogliere le emozioni degli altri nei toni di voce, nelle posture e nelle espressioni del volto.
Abituati a stare davanti ad uno schermo, gli adolescenti possono essere meno attenti e pronti a cogliere questi aspetti della comunicazione”. In più è fondamentale che i ragazzi capiscano che ogni azione ha una conseguenza e di queste conseguenze devono assumersi la responsabilità: la colpa non può essere sempre degli altri (della scuola, di Internet o delle istituzioni, etc). Non ultimo, l’attenzione alla loro vita online: “Certi comportamenti in Internet, come quelli che ledono la reputazione di qualcuno, sono delle vere e proprie violenze – sottolinea Forresi – Aiutate bambini e ragazzi a riconoscerli
come tali”. Perché poi magari, saranno in grado di farlo anche da adulti.