Futuro del lavoro? Recentemente ho ricevuto un invito ad un test drive in cui sarà la macchina a guidare se stessa. E che lavoro fa il guidatore?
Lo scenario in cui un robot eseguirà ogni compito che può essere codificato in un algoritmo è tutt’altro che remoto: in Europa, così come negli Stati Uniti, quasi
metà delle professioni sono vulnerabili all’automatizzazione. Questo vale soprattutto per quelle mansioni composte da una routine di competenze specifiche e meno qualificate, come lavori manifatturieri dalla minore manualità. Ma non solo: i robot sono già in grado di rispondere a messaggi e organizzare agende, tenera la contabilità o scrivere il resoconto di una partita di basket.
Se la routine è dei robot, su quali competenze puntare per essere resilienti a quella che alcuni chiamano la “quarta rivoluzione industriale”?
Essere più “umani” è il principale vantaggio in quest’economia digitale. Creatività, intelligenza sociale ed emotiva sono le chiavi per cavalcare le evoluzioni del lavoro. La capacità di mediare e negoziare, ad esempio, richiedono delle sensibilità che sono difficilmente riducibili a codici. Inoltre, quando si tratta di rispondere ai bisogni più intimi e personali, continuiamo a preferire l’assistenza di persone piuttosto che di macchine: servizi medici, la cura di bambini e anziani o la difesa in tribunale. Infine, i robot e le nuove tecnologie eseguono mansioni, ma a noi resta il compito di definirne gli scopi e le responsabilità. A chi imputare un incidente causato da una self-driving car?
Non è un caso che siano le occupazioni che richiedono empatia, assistenza, estro, analisi e giudizio ad essere cresciute di più – in numero e remunerazione – dagli anni ‘80. Architetti, artisti e designer, specialisti nelle pubbliche relazioni, nella sanità e nell’istruzione sono esempi di quei settori più impermeabili al cambiamento. Infatti, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico precisa che meno del 10% delle mansioni in lavori creativi sono vulnerabili all’automatizzazione.
L’economia di oggi premia anche quelle conoscenze specifiche che emergono con la creazione di professioni totalmente nuove, guidate dalle innovazioni digitali. Infatti, nella classifica delle 25 competenze più richieste di Linkedin dominano le abilità proprie dei data scientist e app developer. L’automatizzazione e il digitale orientano la creazione del lavoro verso il settore dei servizi. Muovono, dunque, il ruolo degli umani verso l’analizzare, il monitorare e il dirigere processi, piuttosto che eseguirli. Questo spesso richiede l’impiego di abilità e strumenti digitali specifici.
La competenza più importante è, però, “imparare ad imparare”. Oggi, la maggior parte dei sistemi d’istruzione avanzati privilegia il sapere nozionistico e limita l’apprendimento ad età predefinite. Al contrario, il modello educativo più adatto all’economia digitale è quello prescolare – dice David Deming di Harvard – in cui “i bambini si muovono da progetti artistici a esperimenti scientifici al parco giochi in piccoli gruppi , e le loro competenze più importanti sono la condivisione e la negoziazione con gli altri.”
Imparare ad imparare vuol dire sperimentare e “saper fare” attraverso gruppi e discipline. Essere resilienti alla complessità e alla velocità evolutiva della quarta rivoluzione industriale richiederà aggiornarsi costantemente, specialmente visto che saremo la generazione più longeva di sempre in un’epoca di costante cambiamento.
L’automatizzazione, quindi, è tutt’altro che l’estinzione del lavoro. Può essere la soglia di un nuovo “Rinascimento digitale”. Esserne protagonisti significa coltivare le competenze più umane, come la creatività, insieme a fiducia e dimestichezza nel digitale. Non oggi, non domani, ma tutta la vita.