Pleo, Zeo e Nao. Sembrano nomi di folletti di una fiaba e invece si tratta di tre robot che presto potrebbero cambiare la vita a centinaia di ragazzi autistici. Dietro questi tre umanoidi ci sono tre teste ingegnose: quella di Giuseppe Palestra, dottore di ricerca nel dipartimento di informatica dell’Università di Bari che è l’ideatore e sviluppatore delle soluzioni; quella di Ilaria Bortone, bioingegnere che si occuperà della traduzione in linguaggio informatico dei protocolli validati e quella della psicologa Brigitta Ruggieri.
Il progetto ha un nuovo approccio terapeutico che in Italia inizia a muovere i primi passi, con risultati incoraggianti. I robot umanoidi possono svolgere un ruolo importante nel trattamento dell’autismo nei bambini, disturbo che nel nostro Paese colpisce circa 100 mila tra piccoli e adolescenti, quattro ogni mille nati. L’obiettivo degli studi è quello di stabilire un contatto, trovare un canale di comunicazione efficace tra terapeuta e paziente. Da questo punto di vista, l’interazione con un robot – programmato per stimolare la curiosità del bambino autistico – se affiancata alle terapie tradizionali può fornire un supporto utile nel percorso di cura e nella diagnosi precoce.
I tre pugliesi hanno dato vita alla startup “Robot4Children”, un progetto che ha sviluppato una soluzione integrata robot – software abbinata ad una metodica innovativa di applicazione assistita rivolta ai bambini affetti da disturbi dello spettro autistico. In altre parole hanno creato dei robot che aiuteranno questi ragazzi facilitando la loro comunicazione. Pleo è un dinosauro mentre Zeno e Nano sono due “robo-bimbi” alti 54 centimetri e in grado di riprodurre i gesti e le attività che possono capitare durante la giornata a partire dal vestirsi.
Il progetto prende vita dalla ricerca: negli ultimi anni, infatti, il progresso tecnologico nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale sta venendo in soccorso alla terapia tradizionale, fornendo una serie di nuovi sistemi in grado di supportare in modo efficace le equipe mediche e gli educatori per aiutare i bambini che soffrono di questo disturbo, e manifestano una particolare difficoltà nell’esprimere emozioni e interagire con adulti e coetanei.
“L’innovatività dirompente – spiegano, infatti, i tre ricercatori pugliesi– sta nel porre le tecnologie della robotica e dell’intelligenza artificiale a supporto della qualità della vita e dell’interazione sociale dei soggetti autistici fornendo una soluzione, in un campo in crescita ma che risulta unica nel suo genere”. I robot devono esibire un comportamento tale da rafforzare l’efficacia della terapia, e allo stesso tempo riuscire ad interagire in modo soddisfacente con il paziente: sebbene si tratti di compiti correlati, richiedono abilità e funzioni differenti, che devono essere gestite tramite gli algoritmi eseguiti dall’automa. Proprio per la complessità del tema, la ricerca della risposta alla questione relativa al come i comportamenti di bambini autistici possano trarre beneficio dall’impiego dei robot, prevede una collaborazione tra team con competenze molto diverse: terapisti, ingegneri robotici, sviluppatori software, e ricercatori nel campo dell’interazione uomo-macchina.
Questa collaborazione, se da una parte può generare risultati di interesse per l’applicazione specifica del training o del supporto ai pazienti con bisogni speciali, dall’altra può consentire la raccolta di una gran quantità di dati e informazioni utili a comprendere meglio in generale le dinamiche dell’interazione tra umani e a modellare in modo più efficace i processi cognitivi coinvolti.
La vera novità, infatti, sta nel fatto che questi robot saranno supporti anche per le istituzioni sanitarie e accademiche perché forniranno loro dati importanti. Pleo, Zeo e Nano potranno diventare i migliori alleati anche delle famiglie, perché potranno garantire ai bambini, anche a casa, a costi più bassi rispetto alle attuali, soluzioni di terapia disponibili, ottenendo, inoltre risultati di apprendimento nettamente migliori. Un progetto, quindi, rivolto a tutti coloro che si occupano di autismo a 360 gradi: centri per la terapia, psicologi, strutture sanitarie e private. Nulla di improvvisato, dal momento che tra le partnership ci sono l’Istituto Nazionale di Ottica, quello di Fisiologia clinica, la Scuola Sant’Anna di Pisa e l’Université “Pierre et Marie Curie” de la Sorbonne, oltre all’associazione “Amici di Nico” dove è stato già sperimentato il piccolo dinosauro.
Resta un solo problema: il progetto ha vinto lo “Start Cup Puglia” 2016 ma ora rischia di restare impantanato tra burocrazia e mancanza di risorse. Robot4Children è la dimostrazione di come l’innovazione robotica e tecnologica possa essere uno strumento utile alla società e a chi lavora nel campo dell’educazione. Sempre se troverà le gambe su cui camminare.