Di padre in figlia, Maria Laura Garofalo e la leadership di un gruppo sanitario

Avvocata, imprenditrice, Cavaliere del lavoro. Maria Laura Garofalo è amministratrice delegata di Garofalo Health Care (GHC), l’unica realtà privata sanitaria italiana quotata sul segmento Euronext Star di Borsa italiana. Un gruppo che lei stessa ha contribuito a fondare, nel 1999, facendosi carico dell’importante eredità di suo padre, Raffaele Garofalo, illustre chirurgo e imprenditore sanitario. «“Ci sono cose che si possono fare e cose che si devono fare”: mi disse mio padre quando mi chiese di aiutarlo a gestire le cliniche sanitarie che aveva acquisito nel Lazio. Avevo solo 27 anni e, di fatto, feci di quella sua richiesta la mia missione di vita» – confida l’ad.

Una vocazione controcorrente

Nonostante fosse cresciuta tra ospedali e ambulatori, Maria Laura Garofalo non sognava un futuro nella sanità. Anzi, da piccola aveva accarezzato l’idea di fare la sarta, merito di una vicina di casa che le aveva fatto scoprire l’uncinetto: «Avevo molta manualità e la trovavo un’attività rilassante, ma con gli anni capii che la mia strada sarebbe stata un’altra». Scelse infatti di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza all’Università La Sapienza di Roma, come sua madre. Una decisione che creò un forte distacco dal papà: «Si sentì ferito dalla mia scelta, tanto che negli anni universitari mi rivolse appena la parola. Mettersi contro un uomo come lui non fu banale, ma ero molto determinata e sicura di me» – confida.

Dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, iniziò a lavorare in un noto studio legale romano. Un contesto importante per la sua formazione, in cui scoprì per la prima volta cosa significasse lottare per le pari opportunità. «Ricordo perfettamente il momento in cui andai dal mio dominus e gli domandai come mai mi venissero affidate pratiche minori. Mi confidò che temeva che sarei stata poco concentrata, perché ero una giovane donna che da lì a poco si sarebbe sposata. Rilanciai, chiedendo di poter avere responsabilità maggiori. E così fu: ottenni pratiche complesse che mi permisero di mettermi alla prova».

La nascita del gruppo e la strategia della diversificazione

La svolta avvenne nel 1991 quando, dopo un master in Business and administration all’Università Luiss e un percorso in uno studio tributario, Maria Laura Garofalo si trovò ad affiancare il padre nella risoluzione di una situazione di crisi che riguardava la società che lui aveva costituito con i fratelli Antonio e Mario per gestire alcune strutture sanitarie nel Lazio, realizzando di fatto il primo gruppo sanitario della regione.

«Era una situazione delicata che riuscii a risolvere nonostante la mia giovane età, ma grazie alle mie competenze. Mio padre, prima dubbioso sul mio percorso professionale, capì che avrebbe potuto contare su di me e mi chiese, senza troppa possibilità di scelta da parte mia, di occuparmi stabilmente nella gestione delle sue attività. Così, lavorai per rimettere in ordine i bilanci, introdussi il controllo di gestione, avviai la managerializzazione delle strutture e aprii la strada della diversificazione territoriale e di comparto, acquisendo strutture sanitarie in svariate regioni del nord Italia».

Grazie ai risultati portati, Maria Laura Garofalo conquista definitivamente il rispetto di suo padre e dei suoi collaboratori e collaboratrici. «Ero felice di poterlo aiutare, di potergli dare la possibilità di recuperare i frutti del suo lavoro. È sempre stato un uomo lungimirante e coraggioso, in quel momento aveva bisogno di me, non tanto come figlia, quanto piuttosto come professionista».

Dalla quotazione al cavalierato

 Il gruppo GHC, fondato proprio da Garofalo nel 1999, e quotato nel 2018, oggi opera attraverso 37 strutture in otto regioni a copertura di tutti i comparti dei settori ospedaliero, territoriale e socio-assistenziale. Nel 2024 ha registrato un fatturato di 470 milioni di euro, in crescita del +27,7% rispetto al 2023, con più di 5.500 tra dipendenti e collaboratori, operando circa 53.500 ricoveri ed erogando più di 2,5 milioni di prestazioni ambulatoriali. Numeri che le sono valsi il Premio Bellisario per l’imprenditoria e la prestigiosa onorificenza di Cavaliere al Merito del Lavoro, entrambi nel 2020.

«Nessun risultato è arrivato per caso. Ogni scelta è stata a lungo riflettuta, sudata e mai scontata. La quotazione, ad esempio, è avvenuta in un contesto finanziario sfavorevole in cui chiunque mi consigliava di desistere, ma ho avuto coraggio e sono andava avanti. È stato un passo rischioso, eppure necessario per garantire la crescita e tutelare la continuità familiare in modo manageriale. Quella – confida – è stata senza dubbio la volta in cui ho avuto più paura».

E ancora: la pandemia. Una fase cruciale per il settore sanitario in cui il gruppo ha supportato il sistema pubblico, aprendo reparti Covid, ospitando chirurgie d’urgenza e distaccando personale specializzato.

Non solo, Maria Laura Garofalo è oggi a capo di una realtà in cui le donne rappresentano il 55% dei componenti del condiglio di amministrazione e sono l’80% dei dipendenti. «Credo che le donne abbiano una marcia in più nella gestione simultanea di situazioni complesse – assicura – ma spesso entrano in competizione fra loro, anziché fare squadra, e si fanno limitare dalla sindrome dell’impostora. Posso comprendere le paure e i sensi di colpa, ma non dobbiamo farci frenare per questo. Le candidature femminili che riceviamo per i posti di primariato, ad esempio, sono molto poche. Basti pensare che in tutta Italia le primarie donne sono solo il 14%.»

«La mia più grande sofferenza – ammette – è ancora oggi non essere stata sempre presente con i miei figli quando erano piccoli, ma sono certa che sia la qualità del tempo, e non la quantità, a fare la differenza. E sono altrettanto convinta che sia importante dare l’esempio di una donna moderna, indipendente e realizzata».

La felicità, oltre il profitto

Quanto al futuro del gruppo, è convinta che la risposta sia in un approccio lungimirante e sostenibile. «Mio padre mi diceva sempre: ricordati che i soldi non sono mai un fine ma un mezzo per raggiungere un obiettivo. Io ho seguito questo principio tutta la vita ed è ciò che consiglio a chi, come me, ha la responsabilità di guidare un’azienda in tempi tanto incerti e complessi. Per crescere dobbiamo investire sulla qualità, non limitarci a distribuire utili».

E sulle prossime generazioni, non ha dubbi: «La corona non ce la mettiamo da soli, ce la mettono gli altri sulla base di ciò che siamo in grado di fare. Il passaggio generazionale non è un diritto: voglio difendere le aziende dai miei figli e i miei figli dalle aziende. Solo chi è capace deve poter entrare, e deve poterlo fare solo se lo desidera. L’unico diritto che abbiamo come esseri umani – conclude – non è salire ai vertici di un gruppo, ma realizzarci in ciò che ci rende felici davvero».

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