Progetto Quid lancia un distretto produttivo inclusivo per dare lavoro ai fragili

Dal carcere al lavoro, dai tessuti inutilizzati a nuove collezioni: Progetto Quid si è fatto conoscere negli ultimi dieci anni per la capacità di coniugare sostenibilità ambientale e inclusione lavorativa. Ma oggi, nella visione della fondatrice e presidente Anna Fiscale, si apre una nuova fase: un distretto produttivo inclusivo che vada oltre la moda e moltiplichi l’impatto, facendo rete con realtà locali e imprese che scelgono di investire sul territorio. Un modello che prova a rispondere alla domanda più difficile: come si cresce, restando fedeli alla propria missione?

Oltre il contratto: cosa vuol dire davvero includere

Includere non è (solo) assumere. È accompagnare, ascoltare, rimuovere ostacoli invisibili. Lo sanno bene a Progetto Quid, impresa sociale nata a Verona nel 2013, che oggi impiega 160 persone, per oltre il 70% con background di fragilità e più dell’80% donne di 23 nazionalità di cui «la più giovane ha 18 anni e la più saggia – come piace dire a Fiscale – ne ha 65».

«Il nostro motto – continua – è dare nuova vita a persone e tessuti, dando un’opportunità di lavoro a chi è escluso e farebbe davvero fatica ad avere una collocabilità. Vogliamo far fiorire il talento delle persone con cui lavoriamo». Ma per Quid, il lavoro è solo il primo passo: accanto c’è un vero ufficio welfare interno che punta a favorire il reinserimento sociale aiutando le persone ad accedere ai servizi di base – residenza, spid, conto corrente – e offre un supporto continuativo, dallo sportello psicologico all’alfabetizzazione digitale, pensata per chi esce da percorsi detentivi e non ha familiarità con gli strumenti digitali.

Il primo laboratorio nasce nel 2013 nel carcere femminile di Montorio – in provincia di Verona -, seguito da uno maschile nel 2018. Da allora il progetto è cresciuto e oggi sono 27 le persone coinvolte tra contratti e percorsi formativi, coordinati da quattro tutor e da una pedagogista per l’inclusione. «L’obiettivo – racconta la fondatrice – non è solo insegnare a cucire, ma preparare al lavoro: rispetto degli orari, relazioni con i colleghi, consapevolezza dei propri diritti. È un primo passo per l’autonomia e rinascita». Un passo che può fare la differenza: «I dati – continua – ci dicono che avere un impiego stabile riduce dell’80% il rischio di recidiva».

Dal 2013 a oggi, oltre 150 detenuti e detenute hanno attraversato i laboratori di Quid. Alcuni sono rimasti all’interno della cooperativa, altri invece hanno continuato percorsi di sartoria in altre città. Un risultato possibile anche grazie al dialogo costante con l’amministrazione penitenziaria. «All’inizio – ricorda Fiscale – eravamo tra i pochi a lavorare in carcere. Ma con noi si è creato un terreno fertile, abbiamo esplorato molte dinamiche e affrontato problemi che sembravano insormontabili e oggi sono sempre di più le aziende veronesi che chiedono di poter inserire persone in semilibertà».

Un distretto produttivo inclusivo: la nuova sfida al 2030

Dopo dieci anni, Quid ha deciso di rilanciare, puntando su un modello ancora poco esplorato nel terzo settore: un distretto produttivo diffuso, capace di coinvolgere entro il 2030 fino a mille persone. «Vogliamo diventare un hub di ordini e competenze per altre sartorie sociali, realtà piccole ma radicate, che hanno bisogno di continuità e formazione per crescere. Quid non deve essere al centro, ma un abilitatore», spiega la presidente.

Il primo tassello è il nuovo laboratorio di Padova, che oggi impiega quattro persone – straniere o con disabilità – in un territorio dove la domanda è forte e le aziende collaborano già con il meccanismo dell’articolo 14 che consente alle imprese di assolvere all’obbligo di assunzione di lavoratori con disabilità (previsto dalla legge 68/1999) affidando parte della loro produzione o servizi a cooperative sociali di tipo B, che impiegano persone svantaggiate. «Lì lavoriamo con oltre 25 imprese e assorbiamo una sessantina di lavoratori con invalidità. È un territorio fertile, ma ancora inesplorato dal punto di vista della sartoria sociale», rivela.

Quid coordina, forma e distribuisce ordini a cooperative partner. «È un distretto senza vincoli geografici – chiarisce Fiscale – e a oggi lo stiamo già facendo con quattro realtà: due a Milano, una a Pozzuoli, una in Friuli. Alcune lavorano anche in carcere, come Catena in Movimento a Bollate».

L’obiettivo è arrivare a una rete che coinvolga mille persone entro il 2030, mantenendo però un limite di 200 dipendenti diretti: «Non vogliamo crescere ovunque. È più funzionale – precisa Fiscale – lavorare con realtà già radicate nei territori. Noi offriamo formazione tecnica e ordini. Così si evita la complessità e si genera impatto vero». Un modello che nelle intenzioni della fondatrice dovrebbe e potrebbe estendersi anche oltre il settore tessile: «Ci piacerebbe – rivela la presidente – costruire un paniere di beni socialmente sostenibili, ma per ora partiamo dal nostro know-how».

Dal retail al B2B: crescere scegliendo

Fino al 2023 Quid gestiva una rete di undici negozi, ma oggi il focus è tutto sul B2B. «Abbiamo fatto una scelta difficile, ma necessaria. Il retail è sempre più complesso, soprattutto per una cooperativa sociale che lavora con marginalità diverse. Servivano risorse che non avevamo, e l’energia andava concentrata altrove», spiega la fondatrice. Così, nel 2023, Quid ha chiuso il segmento retail, mantenendo solo gli outlet.

Oggi produce per grandi brand – da Ikea a Vivienne Westwood – usando ogni anno oltre 150mila metri di tessuti di rimanenza. Le collezioni vengono confezionate nei laboratori interni o distribuite alle sartorie della rete. E il dialogo con le aziende è sempre aperto: «Non è sempre facile capire se una collaborazione nasce da un reale impegno o da una strategia di marketing. Ma – riflette Fiscale – se porta lavoro a persone escluse e valorizza risorse sprecate, per noi ha comunque un valore».

Ad aiutare a mantenere coerenza e trasparenza è anche un modello che prevede indicatori chiari di impatto sociale e ambientale per ogni commessa. «I clienti – precisa – vedono il singolo progetto, non conoscono tutta la filiera, ma noi lavoriamo su kpi semplici e misurabili. E poi li invitiamo a venire: vedono 160 persone di età ed etnie diverse che lavorano con professionalità, e capiscono subito che non c’è nulla di costruito». La forma giuridica – cooperativa sociale di tipo B – resta un ancoraggio forte: «Per legge – sottolinea la fondatrice – almeno il 30% dei dipendenti deve essere svantaggiato, ma per noi è molto più di un requisito. È la ragione per cui esistiamo».

Una leadership che cresce con il progetto

«Crescere vuol dire diventare più consapevoli», riflette Fiscale che aggiunge: «Non mi sento lontana dalla visione con cui abbiamo iniziato: mi sento più attrezzata per affrontare le complessità». Una consapevolezza maturata nel tempo, non solo nell’esperienza quotidiana sul campo ma anche nel confronto con realtà diverse, istituzioni, territori. Un percorso riconosciuto anche da fuori, attraverso premi che testimoniano il valore di un’impresa capace di coniugare impatto sociale e visione imprenditoriale: dal titolo di Cavaliere della Repubblica alla Mela d’Oro della Fondazione Belisario, fino al recente Premio Benevolenza. Ma al centro resta la stessa ambizione con cui tutto è cominciato: trasformare le fragilità in risorsa, costruendo ogni giorno, con rigore e alleanze, un modello di inclusione che duri nel tempo.

***

La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com