Trasparenza salariale: le aziende non sono pronte

Entro un anno (giugno 2026) la direttiva europea sulla trasparenza salariale (UE 2023/970) sarà realtà anche in Itala. Ad oggi però più di due terzi delle aziende (72%) non hanno mai affrontato il tema in modo strutturato con i propri collaboratori. I dati nella ricerca di Jobpricing su più di 200 aziende.

Direttiva sfidante, Paesi prudenti

Il gap retributivo di genere o gender pay gap – pari al 20% nel settore privato in Italia – resta «un aspetto critico» dell’occupazione femminile. Ed è proprio per contrastare questo divario, dovuto anche a politiche retributive poco trasparenti, che il Parlamento europeo nel 2023 ha approvato la direttiva sulla trasparenza salariale. Gli Stati membri ora hanno un anno – entro giugno 2026 -per recepirla. Ma l’adozione procede a rilento. Progetti di legge sono stati presentati solo in Svezia, Polonia, Irlanda e, in forma limitata, in Belgio (solo per il settore pubblico). In alcuni Paesi – Francia, Germania, Olanda, Romania, Finlandia, Norvegia, Repubblica Ceca e Slovacchia – il dibattito è aperto a livello politico tra Ministeri competenti e Parlamento. Ma in altri, tra cui l’Italia, ad oggi non c’è alcun dibattito o iniziativa pubblica a riguardo.

Offerta economica chiara, senza “precedenti”

Nel dettaglio la direttiva copre tutte gli snodi della vita professionale di una donna, là dove il divario salariale prima nasce e poi si stratifica. Prima di tutto la fase di colloquio e di assunzione: la direttiva inserisce infatti l’obbligo di indicare la retribuzione (o un range di riferimento) all’interno dell’offerta di lavoro. Ma anche il divieto di raccogliere informazioni sulla retribuzione percepita in fase di selezione. Spazio quindi alla negoziazione, senza che il lavoro di prima costituisca un “precedente” a livello retributivo, e alla trasparenza. Sarà anche vietato inserire clausole contrattuali che impediscano ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione o di chiedere informazioni sulla propria retribuzione o su quella altrui.

Politiche retributive trasparenti

Le aziende dovranno inoltre adottare politiche retributive chiare e trasparenti, basate su criteri oggettivi e gender neutral. Un impregno che  indirettamente andrà a beneficio di tutti, introducendo un processo più meritocratico di crescita professionale. In questo modo i criteri di determinazione delle retribuzioni e di gestione delle progressioni salariali saranno più chiari per tutti. La direttiva inserisce anche un diritto individuale e collettivo alla trasparenza salariale.

Diritto d’informazione e risarcimenti ab initio

In particolare, i collaboratori potranno richiedere informazioni relative ai livelli retributivi applicati in azienda, per il proprio ruolo o per ruoli di pari valore. Ma anche le organizzazioni sindacali avranno voce in capitolo. L’ azienda sarà infatti tenuta a condividere con loro informazioni sui livelli salariali medi, mediani e su tutti gli elementi accessori della retribuzione. E in caso di differenze retributive superiori al 5% per singolo ruolo – e per ruoli equivalenti – a dare spiegazioni.  Per le controversie risarcitorie basate su discriminazione salariale di genere, la direttiva introduce l’inversione dell’onere della prova e il diritto ad un risarcimento ab initio, oltre alle sanzioni amministrative.

Le aziende non sono pronte

In base a una ricerca condotta da Jobpricing su più di 200 aziende, e presentata durante Nobilita il Festival della cultura del lavoro, le aziende sono ancora lontane dai nuovi standard della direttiva. In particolare più della metà (64%) ad oggi non indicano mai la retribuzione offerta negli annunci di lavoro e si affida al Ccnl o a criteri interni non trasparenti (62%) nella definizione delle politiche retributive. Questo significa che oggi in Italia solo un’azienda su quattro (26%) utilizza metodologie di grading e pesatura delle posizioni, con parametri oggettivi e condivisi. Ed è per questo che la metà delle imprese – in base alla ricerca (54%) – non comunicano alcuna informazione sui livelli retributivi medi per ruolo.

Solo un “coraggioso” 8% invece condivide con tutto il personale le proprie policy retributive. Eppure è proprio nelle asimmetrie informative e nella discrezionalità delle scelte retributive che il pay gap di genere nasce e prospera. Un tema delicato che ad oggi la grande maggioranza delle imprese (68%) non monitora o che non han strumenti sistematici per farlo. Le aziende quindi sono impreparate all’entrata in vigore della direttiva (72%) e una su due (46%) ritiene di aver bisogno di un supporto per applicarla adeguatamente.

Insomma tanta strada resta ancora da fare, sia a livello legislativo che organizzativo, ma il tempo stringe.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com