Salute, le donne vivono più a lungo ma passano più anni malate

Nell’ultimo anno, solo il 10% delle donne al mondo, circa 60 milioni in meno rispetto agli anni passati, dichiara di essersi sottoposta a test per il controllo di qualsiasi tipo di cancro. Un record negativo secondo gli studiosi che hanno redatto l’ultimo rapporto annuale Hologic Global Women’s Health Index, l’indagine, giunta alla sua quarta edizione, che misura lo stato di salute delle donne e delle ragazze del mondo di età pari o superiore ai 15 anni. L’analisi è stata sviluppata da Hologic, azienda del settore, in collaborazione con Gallup, che ha intervistato circa 147.000 donne e uomini di 143 Paesi e territori, in più di 140 lingue.

Per la prima volta nella storia dell’indagine, si legge nel report, la percentuale di donne che dichiarano di essersi sottoposte a screening di controllo per il cancro è diminuita, mentre per il secondo anno, l’Italia si colloca al diciassettesimo posto del ranking mondiale in fatto di prevenzione, ancora una volta al di sotto della media dei paesi dell’Unione Europea. Alla base di questo fenomeno, c’è la diffidenza nei confronti dei servizi sanitari del proprio paese. Secondo il report, il 65% delle donne nel mondo si dichiara soddisfatto dei servizi sanitari del proprio stato, con una diminuzione di tre punti percentuali rispetto al 2020.

Le più giovani sono le più informate

Anche l’informazione gioca un ruolo fondamentale nella salute delle donne. Lo scorso ottobre, Mio Dottore,  piattaforma per la prenotazione online di visite mediche e esami diagnostici, ha reso pubblici i risultati di un’indagine condotta su un campione di oltre 10.000 persone attraverso l’app. I dati raccolti forniscono una panoramica del grado di conoscenza che le donne hanno sulla propria salute e sulle patologie specificamente femminili.

L’86% delle donne che hanno partecipato al sondaggio, ad esempio, sa esattamente come fare autopalpazione e quali visite fare per prevenire il tumore al seno, mentre sorprendentemente la percentuale aumenta tra le intervistate under 35. Stessa tendenza in relazione alle conoscenze circa il pap test. Alla domanda “A che età è consigliabile sottoporsi al test”, solo il 23% delle intervistate ha saputo rispondere correttamente alla domanda, ovvero a partire dai 25 anni. Oltre il 50% delle donne nella fascia di età compresa tra i 18 e 25 anni ha dato la risposta esatta, percentuale che diminuisce sensibilmente mano a mano che si sale con l’età.

Eppure, nonostante la crescente consapevolezza tra le più giovani delle tematiche legate alla salute femminile, oggi solo il 56% delle donne italiane si sottopone regolarmente a controlli consigliati.

Osservatorio sull’impatto della vita biologica delle donne su quella sociale e lavorativa

«Secondo i dati dell’UNFPA, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il benessere delle persone e di sostenere i diritti sessuali e riproduttivi a livello globale, investire in servizi e informazioni sulla salute di genere nei luoghi di lavoro può produrre fino al 22% di aumento della produttività, oltre il 60% della riduzione dell’ assenteismo e oltre il 20% di riduzione del turnover del personale». A dirlo è Silvana Perfetti, people & purpose consulting leader di Deloitte Italia, in occasione della presentazione all’Università Statale di Milano del Women Health Index”, un indicatore progettato dai ricercatori e dalle ricercatrici del progetto Human Hall della Statale in collaborazione con il team DE&I di Deloitte, che si propone di quantificare l’impatto che determinate condizioni femminili, legate alle diverse fasi ormonali del ciclo di vita della donna, hanno in ambito lavorativo.

Il progetto è nato dall’esigenza di approfondire l’importanza strategica della Women Health Equity, ossia la parità nell’accesso ai servizi sanitari e al benessere femminile anche nel mondo del lavoro, con particolare attenzione alle diseguaglianze sistemiche e ai determinanti socioeconomici che influenzano la salute delle donne in ambito lavorativo.

«Ogni fase della vita di una donna – dal ciclo mestruale alla menopausa, dalla fertilità alla gravidanza – merita tutele e normative che ne garantiscano equità e protezione. È con questa consapevolezza che è è nato il Women Health Index, un indicatore che ci permetterà di monitorare l’impatto che diversi eventi fisiologici femminili e le politiche di tutela della salute delle donne hanno sulla loro vita lavorativa, sul contesto professionale e sulla società nel suo complesso» sottolinea Marilisa D’Amico,  ordinata di Diritto Costituzionale e prorettrice dell’università Statale di Milano.

Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma in che condizioni?

Le donne vivono in media circa il 5% in più rispetto agli uomini, ma ciò non equivale a più attenzione nei confronti della loro salute. Secondo uno studio del 2021 pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet, le donne vivono più a lungo degli uomini ma in condizioni di salute peggiori. La differenza di genere si basa sul tipo di malattia che colpisce le due categorie nel corso della loro vita. Se gli uomini, infatti, vengono più spesso colpiti da malattie che sono fatali, le donne riescono a vivere più a lungo ma in condizioni di salute più precarie a causa di malattia non fatali ma invalidanti. «Un approccio sesso e genere-specifico in medicina è imprescindibile per garantire alle donne appropriati ed equi interventi di prevenzione, diagnosi e cura. Tale approccio deve considerare fattori biologici, tra cui quelli ormonali che scandiscono e caratterizzano i diversi cicli vitali femminili, e di genere, come il ruolo sociale della donna e in particolare il caregiving che impattano tanto sulla salute fisica quanto su quella mentale» osserva Nicoletta Orthman, direttrice medico-scientifica della Fondazione Onda Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere Ets.

L’analisi stima, infatti, che per 13 delle 20 principali cause di malattie mortali, tra cui Covid-19, lesioni stradali e una serie di malattie respiratorie ed epatiche, il tasso di incidenza è stato più alto negli uomini che nelle donne. Queste ultime, invece, sono colpite per lo più da malattie muscolari e delle ossa, dal morbo di Alzheimer, da malattie come l’HIV e l’AIDS e da disturbi depressivi e dell’ansia.

«La psichiatria organizza per le giovani donne (18-25 anni) con disturbo di personalità borderline, che rappresenta la condizione più comune tra i disturbi di personalità, dei gruppi terapeutici basati sull’implementazione della capacità di riflessione», spiega la professoressa Cinzia Bressi, associata di psichiatria, responsabile del servizio di Psicologia clinica e psicoterapia dell’ Università degli Studi di Milano, in occasione della presentazione del Women Health Index” alla Statale. «L’obiettivo di questi gruppi terapeutici è di permettere la condivisione del disagio psicologico con altre donne con le stesse difficoltà per discuterne, sotto la guida di due conduttori, approfondirne le dinamiche relazionali e trovare approcci nuovi e non psicopatologici alle difficoltà in atto».

Il cuore delle donne: osservato speciale

Il cuore delle donne deve essere un osservato speciale, ma di fatto non lo è. Le donne, infatti, tendono a manifestare sintomi atipici di malattie cardiovascolari rispetto agli uomini, con conseguente ritardo diagnostico e terapeutico. A ciò si aggiunge l’impatto di fattori di rischio legati al genere, come la sindrome dell’ovaio policistico, il menarca precoce, le terapie contraccettive orali, ansietà e depressione, le complicanze della gravidanza, la menopausa prematura, terapie per il  cancro al seno.

Eppure, la consapevolezza pubblica e professionale di queste importanti differenze rimane bassa. CARIN WOMEN survey, uno studio condotto da A.R.C.A. (Associazioni Regionali Cardiologi Ambulatoriali) e che ha coinvolto 49 ambulatori cardiologici su tutto il territorio nazionale, mostra che le donne sono meno informate degli uomini sui propri rischi cardiovascolari, e dunque partecipano meno anche ai programmi di screening, con conseguenze negative sulla prevenzione e sulla gestione delle malattie cardiovascolari.

Donne e lavoro: gli ultimi dati sul gender gap

Secondo il Rendiconto di Genere 2024 dell’INPS, in Italia solo il 52,5% delle donne è occupato, contro il 70,4% degli uomini, nonostante le donne rappresentino la maggioranza tra i laureati (59,9%). E quando lavorano, spesso guadagnano meno. In molti settori, infatti, il gender pay gap supera il 20%, e solo il 21,1% dei dirigenti è donna.

Una delle cause di questa situazione è la gestione della famiglia che ricade ancora in gran parte sulle donne. I numeri parlano chiaro: nel 2023 le donne hanno utilizzato oltre 14 milioni di giornate di congedo parentale, mentre gli uomini poco più di 2 milioni. Questo squilibrio pesa sulle carriere femminili, rendendo più difficile conciliare lavoro e vita privata.

«La salute femminile e il mondo del lavoro sono strettamente legati: garantire equità e consapevolezza significa creare ambienti professionali che rispettino le esigenze delle donne in ogni fase della loro vita», dice la professoressa Monica DiLuca, prorettrice alla Ricerca dell’Università Statale di Milano.

Malattie rare: quando a ostacolare le donne non è solo il proprio stato di salute

Per non parlare delle condizioni di salute invalidanti che impediscono di fatto alle donne di progredire nel mondo del lavoro. Un esempio sono le malattie rare. «Le malattie rare colpiscono le donne due volte. La prima come pazienti: su due milioni di persone affette da malattie rare nel nostro Paese, più di un milione è costituito da donne. La seconda è come caregiver, poiché in Italia nel 90% dei casi il carico assistenziale e di cura dei pazienti è assorbito da figure femminili», dice Anna Chiara Rossi, vp & general manager di Alexion – AstraZeneca Italia.

Ma non è tutto qui. «Il 42% delle donne con malattia rara – aggiunge Anna Chiara Rossi – ha visto cambiare la propria situazione economica, con una perdita di produttività di circa €3.000 all’anno e di 4 giorni al mese persi di lavoro; anche il 65% delle donne caregiver ha dovuto modificare la propria attività professionale a causa della malattia, perdendo in media oltre €3.500 annui e più di 3,5 giorni di lavoro»

Salute femminile: il ruolo dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale ha il potenziale per portare a un miglioramento della salute dei pazienti e a un aumento della produttività degli operatori sanitari, secondo l’Ocse. Come? Analizzando grandi quantità di dati sanitari e identificando modelli e tendenze che sfuggono all’occhio umano. Per gli esperti, dunque, l’intelligenza artificiale può portare a diagnosi più precise, trattamenti personalizzati e a una migliore prevenzione delle malattie. «L’IA può dare un importante contributo anche nella gestione della produzione e distribuzione di un farmaco, ottimizzando ad esempio le attività di manutenzione delle linee produttive e prevedendo meglio eventuali oscillazioni di mercato, evitando problemi di reperimento del medicinale», dice Paolo Zambonardi, amministratore delegato Italfarmaco.

Tutto a vantaggio della salute dei pazienti. Ma cosa può fare nello specifico per la salute delle donne? «Nel campo della salute della donna,- spiega Zambonardi-  i ricercatori si stanno affidando all’ IA per gestire meglio le complicazioni correlate alla menopausa come l’ osteoporosi, le malattie cardiovascolari e il declino cognitivo, migliorando la previsione del rischio, la prevenzione e la gestione dei sintomi».

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