«Il ciclo non è un lusso e non è una scelta» lo hanno scritto in maiuscolo su cartelli, fogli e volantini che hanno affisso nelle bacheche e sui muri dell’università. Hanno attaccato alle pareti assorbenti colorati con il pennarello rosso, mentre nei bagni hanno lasciato le tampon box, distributori di tamponi.
La mobilitazione delle studentesse del Collettivo+ all’Università degli studi di Salerno in poco tempo è diventata virale sui social. Più di mille condivisioni e commenti da ogni parte d’Italia: «Abbiamo chiesto l’installazione di distributori di assorbenti gratuiti nei bagni delle facoltà e nelle residenze per gli studenti universitari che sono lontane da supermercati e farmacie» dicono Rosaria e Asia, studentesse attiviste che fanno parte del Collettivo +.
L’iniziativa risponde alla mobilitazione generale lanciata l’8 marzo da Rete della Conoscenza, network di associazioni studentesche, in concomitanza con lo sciopero globale delle donne. «Vogliamo – hanno scritto su Facebook studentesse e ragazze – scuole e università a misura dei nostri corpi, contraccettivi e assorbenti gratuiti, chiediamo che nei luoghi della formazione venga insegnata educazione sessuale, per non dover subire più violenze e abusi».
Gli assorbenti in Italia sono tassati con l’IVA al 22%, è l’aliquota ordinaria che si applica ai beni di largo consumo che non sono considerati di prima necessità. La tassazione, stabilita da un decreto del Presidente della Repubblica datato 1972, ricade interamente sulle consumatrici finali. Non c’è solo in Italia. È quella che viene chiamata in tutto il mondo tampon tax, il balzello sui prodotti per l’igiene intima femminile. Un’imposta che non tiene conto del fatto che tamponi assorbenti e coppette mestruali sono dei beni necessari perché le donne non scelgono di avere il ciclo, è un evento fisiologico e naturale.
In altri Stati l’aliquota è inferiore alla nostra o è stata ridotta. L’Inghilterra l’ha diminuita dal 17,5 per cento al 5%, in Francia è stata portata dal 20% al 5,5 %, in Portogallo, in Olanda e Belgio è al 6 % e in Spagna al 10%, in Irlanda e in Canada è stata addirittura abolita come in Kenya e Uganda. Le Isole Canarie sono dal 1° gennaio 2018, il primo territorio europeo in cui è possibile acquistare assorbenti duty-free, non si paga più l’IVA per acquistare pillole analgesiche, coppette e assorbenti.
In Italia, invece, la direttiva 2006/112/CE del Consiglio europeo, che ha inserito tra i prodotti che possono essere sottoposti a un’aliquota ridotta anche i contraccettivi e le protezioni intime femminili, rimane lettera morta. Nel nostro Paese nonostante alcune petizioni lanciate dalle attiviste, vari tentativi portati avanti da diverse forze politiche, come la proposta di legge di Possibile per portare gli assorbenti nella fascia di prodotti con Iva al 4%, la tassazione rimane invariata.
Le mestruazioni occupano un quarto della vita delle donne per una quarantina d’anni dalla pubertà alla menopausa. Ogni anno nel nostro Paese vengono venduti 2.6 miliardi di salviette igieniche con l’Iva al 22%. Una donna con un ciclo regolare nell’arco della propria esistenza ne consuma almeno 12 mila. Ogni confezione costa in media 4 euro e la verità è che non tutte le donne si possono permettere gli assorbenti. È la period poverty che affligge le donne a ogni latitudine. È il mancato accesso a prodotti sanitari, all’educazione all’igiene mestruale, ai servizi igienici. Lo spiega il documentario premio Oscar “Il ciclo del progresso” che parla dello stigma culturale legato alle mestruazioni in India. È un problema che però riguarda tutto il mondo.
«Dalla donna più povera alla più ricca dalla più ignorante alla più istruita le mestruazioni restano ancora oggi il tabù numero uno, inserito nella Top Ten delle cose alla cui esistenza si accenna sottovoce con aria cospiratoria. Ecco per questo motivo si può parlare di diseguaglianza mestruale poiché le mestruazioni sono oggetto di tabù e le donne subiscono per questo una forma di oppressione che nessun uomo conoscerà mai» scrive la giornalista scrittrice Èlise Thiébaut nel suo saggio “Questo è il mio sangue” una sorta di manifesto delle mestruazioni in cui discute del perché ancora oggi il ciclo sia un argomento di cui ci si vergogna e che discrimina e isola socialmente.
Il tema è legato intimamente alla condizione delle donne in un mondo dove il dominio patriarcale è la norma. La femminista americana Gloria Steinem negli anni ‘80 in un suo scritto si era chiesta in maniera provocatoria se ad avere le mestruazioni fossero gli uomini. “Le mestruazioni – osservava – diventerebbero un evento maschile invidiabile e motivo di orgoglio. Gli uomini si vanterebbero della loro durata e del loro flusso. Il Congresso creerebbe un Istituto nazionale della dismonerrea per combattere i dolori mensili e il governo stanzierebbe finanziamenti per distribuire assorbenti gratuiti».
Il problema della period poverty interessa anche il mondo occidentale. Nel Regno Unito il 49% delle ragazze ha perso un giorno di scuola a causa del ciclo e una donna su 10 tra i 14 e i 21 anni non è in grado di permettersi i prodotti di protezione intima. Due ragazze su cinque hanno dovuto usare un rotolo di carta igienica per gestire il loro flusso mestruale. Alcune usano calzini o giornali rischiando infezioni.
Secondo uno studio del 2017 condotto dal marchio di prodotti femminile Always , una ragazza americana su cinque ha lasciato la scuola o ha perso giorni di lezione perché non aveva analgesici o assorbenti. In Italia non ci sono dati specifici a riguardo, l’Istat ha però fornito il numero delle donne vive in condizioni di indigenza. Sono 2 milioni 277mila.
«Gli assorbenti dovrebbero essere gratuiti perché sono indispensabili» affermano Rosaria ed Asia. Le ragazze del Collettivo + hanno realizzato da sole i distributori che hanno posizionato nei bagni dell’Università. Hanno usato delle scatole che hanno riempito di assorbenti. Chiunque li poteva prendere oppure ne poteva lasciarne qualcuno. «Alcune studentesse ci hanno ringraziato. È stato bellissimo – raccontano – Qualche persona invece è rimasto sconvolta perché abbiamo tappezzato l’Università con le nostre rivendicazioni. Ci hanno detto che siamo state inappropriate perché le mestruazioni sono volgari. Se tutt’oggi sconvolge vedere un assorbente scandalizza, significa che la strada da fare è ancora lunga» dicono queste ragazze che insieme a tante altre vogliono rompere il tabù delle mestruazioni.
La loro battaglia sta già dando i primi frutti. Insieme a un’altra associazione studentesca, LINK Fisciano, la settimana scorsa il Collettivo+ ha ottenuto l’approvazione di una mozione che prevede l’installazione di assorbenti e contraccettivi gratuiti.
L’Università Statale di Milano è stata, invece, la prima in Italia ha dire sì all’installazione di assorbenti nei bagni di tutte le sedi dell’Ateneo e nelle prossime settimane verrà identificato l’operatore che installerà e rifornirà periodicamente i distributori. Ogni protezione intima costerà 0,10 centesimi, ma le studentesse puntano a ottenerli gratis.
«Noi crediamo che interventi come questo debbano rappresentare una risposta alla tassazione come beni di lusso degli assorbenti. Il punto non sta tanto nel ridurre il loro prezzo bensì nel considerarli come beni di necessità per una minima igiene personale da garantire a chiunque vive l’università, tanto quanto ad esempio la carta igienica o il sapone per le mani» dice la rete “Studenti Indipendenti Statale”. Non sono mancate le polemiche da parte di chi ha puntualizzato affermando che gli assorbenti inquinino e che debbano essere disponibili anche alternative più ecologiche come la coppetta mestruale.
Gli assorbenti sono uno dei cinque rifiuti più diffusi sulle spiagge di tutta Europa, la Commissione Europea ha però eliminato per il momento i prodotti mestruali dalla bozza finale della lista di articoli che dovrebbero essere tassati a causa dell’impatto che hanno sull’ambiente proprio perché in alcuni Paesi come il nostro hanno già una tassazione alta che continua a gravare sulle donne.
La mobilitazione delle studentesse in Italia é arrivata anche a Roma con “Le Nostre Cose”, un’associazione e una pagina Instagram seguitissima: «Siamo 5 studentesse nel campo della comunicazione. Quando abbiamo iniziato a pagarci in maniera autonoma gli assorbenti, ci siamo rese conto di quanto effettivamente sia una spesa importante. Abbiamo ideato un’iniziativa che ha come obiettivo sensibilizzare le nostre coetanee e diffondere una maggiore solidarietà tra le donne» racconta Alice.
Le ragazze de “Le Nostre Cose” hanno portato la loro installazione per la prima volta nei bagni della Sapienza di Roma il mese scorso. Poi all’Istituto Europeo di Design e alla facoltà di scienze politiche a Roma Tre.
Su uno specchio posizionato nelle toilette hanno scritto: diritto”“Ridurre la tassa al 4% è un diritto”, nella sportina in tessuto appesa a fianco era possibile lasciare un assorbente. «Il nostro motto è “Se non ci aiutiamo tra di noi chi altro lo farà? La nostra idea punta sulla sorellanza – dice Alice – Quante volte ci è capitato di dover chiedere a un’amica o collega se avevano un assorbente in più perché il ciclo è arrivato nel momento sbagliato o quando non ce lo aspettavamo? Avere un assorbente in più in borsa non solo ci può essere utile, ma può esserlo per qualunque altra donna. Aiutarci tra di noi è l’alternativa migliore per la realtà in cui viviamo».
L’iniziativa de “Le Nostre Cose” si sta diffondendo in tutta Italia. È arrivata a Trento, Cantù e Trapani. È stata lanciata anche una petizione su change.org per ottenere l’IVA al 4%.
Perché ridurre la tassazione può portare ad arginare la period poverty che non è semplicemente un altro aspetto della povertà: è il riflesso di una società guidata dalle disuguaglianze di genere. Ed è una questione da non sottovalutare. Compromette l’accesso all’educazione, alle opportunità, all’indipendenza e al mondo del lavoro.