I primati italiani a livello europeo non sono molti, ma la presenza di donne nei consigli di amministrazione ci fa balzare in testa alle classifiche, dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca del 2012. Se ne è avuta una conferma ieri in occasione della relazione annuale della Consob. I dati sulla composizione di genere dei consigli di amministrazione delle società quotate italiane alla fine del 2015 mostrano, infatti, che quasi il 28% degli incarichi è ricoperto da una donna, in linea con il trend delineatosi negli ultimi quattro anni per effetto dell’applicazione, appunto, della normativa sulle quote di genere. Non solo. La quasi totalita’ degli organi amministrativi vede attualmente rappresentati entrambi i generi.
A fine 2015, nelle società a medio-alta capitalizzazione, le donne rivestono in media oltre il 27% delle cariche (28,1% nelle società appartenenti all’indice Ftse Mib e 27,2% in quelle appartenenti all’indice Mid Cap). Nelle restanti aziende, le donne sono rappresentate nell’organo amministrativo nella quasi totalità dei casi, con una presenza che sfiora il 29% del board tra le società che non appartengono all’indice Star.
Ancora a rilento procede, invece, la diversificazione per nazionalità. Gli amministratori restano prevalentemente italiani, tanto che solo il 6% è straniero. L’identikit dei consiglieri si completa con altre indicazioni: sull’età (in media 57 anni); sull’educazione (circa l‘85% è laureato, di cui la meta’ in economia, 16% in legge e 13% in ingegneria – mentre il 18% e’ anche in possesso di un titolo di studio post-laurea); e sulla professione (il 73% degli amministratori è un manager).
Certo alcune deifferenze nei board sono dovute alla “natura” degli azionisti. Le società controllate da istituzioni finanziarie hanno cda più istruiti, più giovani e con una maggiore presenza di membri stranieri. Al contrario, nelle imprese non controllate o di tipo familiare, gli amministratori sono più raramente laureati, più anziani e le donne sono meno rappresentate. Le caratteristiche degli amministratori variano anche a seconda della presenza o meno di una relazione di parentela con l’azionista di controllo: gli amministratori family, pari al 16% del totale, sono meno istruiti (69% hanno una laurea con l’88% dei non-family) e più frequentemente sono manager (94,7% contro il 68,7% dei non-family).
Un quadro tutto sommato in miglioramento per le società quotate italiane, anche se in tema di diversity resta ancora molto da fare, non tanto per il genere quanto per la provenienza e l’età. Idee ed energie nuove potrebbero fare la differenza nell’affrontare una competizione globale sempre più aspra.