
«La Nuova Donna in tour». Così, nel 1895, titola un articolo del San Francisco Examiner: Annie Londonderry, dopo un viaggio di 15 mesi e oltre 10mila km in bicicletta, torna in America. Per la prima volta nella storia, una donna fa il giro del mondo in bicicletta: partita in gonna e giacca, «la nuova donna in tour» arriva a destinazione in panciotto e calzoncini. Via i corsetti che costringevano il respiro, via i cerchi sottogonna che inibivano il movimento. Attraversando il mondo, Annie Londonderry attraversa il modello femminile ottocentesco e lo riscrive. A beneficio di tutte e, soprattutto, delle generazioni a venire: le donne avrebbero imparato a non dipendere più da un uomo per i propri spostamenti.
Da allora, il mondo non è stato più lo stesso. Secoli dopo, la pioniera Londonderry continua a viaggiare e, a bordo della sua bicicletta – la Sterling Expert Model E Light Roster, con telaio maschile e più leggera rispetto al modello “femminile” – arriva a Roma, nella Biblioteca Apostolica Vaticana, con “En Route”: la mostra-viaggio, curata da don Giacomo Cardinali, Simona De Crescenzo, Francesca Giannetto e Delio Vania Proverbio, che si muove nel tempo e nello spazio reinterpretando il messaggio dei “Pellegrini di speranza”, inaugurato dal Papa per l’anno giubilare. In questo movimento, guidato dalle visioni di Maria Grazia Chiuri, del cantante Lorenzo Jovanotti Cherubini e dell’artista visiva Kristjana S Williams, le donne aprono la strada. La storia di Annie Londonderry dialoga con quella di altre illustri colleghe viaggiatrici che hanno sfidato gli stereotipi del loro tempo mettendosi in viaggio: Nellie Bly, Elizabeth Bisland, Gertrude Bell e le gemelle Smith (Agnes Smith Lewis e Margaret Dunlop Gibson).
“En route”, l’eredità culturale di Cesare Poma in viaggio nel tempo

La mostra En Route, visitabile ancora fino al 20 dicembre, nasce dal ritrovamento di un fondo proveniente dall’eredità del diplomatico ed erudito Cesare Poma, appassionato collezionista delle più disparate testimonianze umane, letterarie, artistiche e numismatiche. Tra i circa 1.200 giornali che compongono la collezione Poma Periodici figurano anche tre copie finora sconosciute del bizzarro periodico “En route” che i giornalisti francesi Lucien Leroy e Henri Papillaud stamparono tra il 1895 e il 1897 durante il loro viaggio intorno al mondo, senza un soldo, per autofinanziarsi e raccontare i luoghi visitati. In un universo fino ad allora raccontato al maschile, e plasmato su di esso, irrompono le pioniere viaggiatrici. «È un’impresa impossibile per voi. In primo luogo siete una donna», si sentì dire Nelle Bly prima di partire. Il mondo ancora non sapeva, ma avrebbe saputo presto: il viaggio rende possibile anche l’impossibile.
Uscire dalla trappola, andare nel mondo
«Femininity, the trap»: nella sala Barberini della biblioteca della Santa Sede, sul disegno progettuale di un corsetto stringivita, campeggia una frase di Simone de Beauvoir. «La femminilità è un trappola», scrisse la filosofa femminista su Vogue nel 1947, incoraggiando le donne ad assumersi il rischio della propria esistenza e uscire dal mito della femminilità, dal timore di apparire meno affascinanti perché più forti, autonome e meno bisognose. Oggi quello stesso messaggio dirompente continua a rompere gli argini: le donne possono diventare finalmente soggetto, protagoniste. Con un’installazione site-specific, Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica delle collezioni donna di Dior, insieme a Karishma Swali, direttrice artistica della Chanakya School of Craft, sceglie di raccontarlo attraverso la storia delle sei viaggiatrici che, a fine Ottocento, sfidarono convenzioni sociali e la normatività maschile che incombeva sulle loro vite e sulle loro scelte.
L’evoluzione dell’abito: una storia di liberazione
Quattro pannelli, dedicati a loro e alti più di quattro metri, sono stati realizzati sovrapponendo svariati strati di filo di lino e di canapa, poi essiccati e arricchiti con un delicato ricamo di punti kanta che rendono il tessuto simile a una vecchia pergamena resa traslucida e fragile dal trascorrere del tempo. Su ciascun pannello, attraverso il ricamo, il passato e il presente si intrecciano per raccontare l’evoluzione dell’abbigliamento femminile: perfino cosa indossare era condizionato da ciò che era ritenuto consono. Anche per viaggiare le donne venivano costrette in corsetti, lacci, nastri, gonne e sottogonne. Non potevano nemmeno camminare da sole per strada.
Il viaggio è anche interno
«Questo progetto è stato molto stimolante, perché ci ha portato a riflettere sull’aspetto dell’abito e sulle sue evoluzioni, o meglio direi sulla possibilità di cambiamento che è l’abito a offrire», spiega Maria Grazia Chiuri nell’intervista presente nel raffinato catalogo della mostra e realizzata da don Giacomo Cardinali. «Perché non credo si sia trattato di modifiche dovute tanto a necessità funzionali, ma di un vero e proprio cambiamento epocale, avvenuto nelle persone stesse». Gli abiti hanno il potere di liberare il corpo: un baule da viaggio nella sala dialoga con le storie delle viaggiatrici e, guardando ai pannelli che le raccontano, costudisce gli “abiti stendardo”. Quelli ispirati alle trasformazioni che i vestiti hanno subito durante il processo di progressiva liberazione dalle costrizioni identitarie: «Si ha una idea che il viaggio sia solo ed esclusivamente all’esterno – dice Chiuri – ma non è così: un viaggio può essere interno. Ognuno ha un mezzo per esprimere il proprio viaggio: chi lo può esprimere attraverso il ricamo, chi attraverso la scrittura, chi con un disegno o un qualsiasi artefatto, o la musica. Non tutti possono esprimere allo stesso modo il processo che c’è dietro».
Il mondo a misura di donne
Fino alla seconda metà dell’Ottocento, l’idea di viaggiare, per una donna, era considerata un’anomalia stravagante. Malgrado gli impedimenti sociali e culturali, le donne che decisero di intraprendere viaggi avventurosi per “rompere” gli argini furono più numerose di quanto si possa pensare: il coraggio di quelle donne ha permesso di costruire nuovi modelli autodeterminati. Al centro della sala Barberini, due mappamondi raccontano l’uscita dal focolare domestico: il primo mostra varie tecniche di tessitura e di ricamo per illustrare la ricchezza della cultura tessile nel mondo. Il secondo, invece, delinea una geografia immaginaria, raccontando il mondo interiore, le fantasie e i desideri delle donne artigiane che lavorano nella Chanakya School of Craft. Molte di loro non hanno mai viaggiato al di fuori della loro regione. Tante non posseggono un passaporto. Ma tutte sognano di viaggiare per conoscere il mondo.
L’arte della tessitura fa dialogare le culture
Case, templi, villaggi, fiumi, animali: tutto trova spazio in un pianeta a misure di donne. L’arte della tessitura diventa parte di un dialogo interculturale più ampio e ridisegna i confini: le tecniche artigianali, i materiali e i motivi decorativi sono continuamente scambiati, reinventati e reimmaginati attraverso le diverse culture che li utilizzano. La tecnica indiana di tintura e filatura del tessuto, conosciuta come Ikat, ad esempio, si ritrova in molte culture dell’Asia meridionale, sudorientale e centrale. E anche in Giappone e in America centrale e meridionale. La familiarità diventa casa in tutto il mondo, i confini si sgretolano. Restano i ricami, delicati e visionari. Una nuova geografia che si può toccare. «Questo progetto è anche la celebrazione di una comunità, perché il mondo del craft, il mondo tessile, ha come caratteristica un grande senso della comunità, di essere una piccola parte di una cosa molto più grande», dice Karishma Swali, intervistata anche lei per il catalogo. «Una delle “nostre donne”, Agnes Smith, aveva posto una iscrizione latina sulla sua porta: lampada tradem, che significà “io passerò la torcia”. È questo forse lo spirito di quello che stiamo facendo».
«Perché non fare un viaggio intorno al mondo?»: le sei viaggiatrici di “En Route”

Ogni pannello, un viaggio. Per ogni viaggio, il nome della pioniera che lo ha inaugurato: un riconoscimento e un simbolo di gratitudine. «Vorrei essere all’altro capo del mondo. Ho bisogno di una vacanza, perché non fare un viaggio intorno al mondo?», si era detta la giornalista Nellie Bly, prima di compiere il suo giro del mondo in 72 giorni. Il 14 novembre 1889, alle 9.40, parte da New York, imbarcandosi sull’Augusta Victoria, con in tasca duecento sterline inglesi. Prima si reca dal sarto Ghormley’s e ordina un abito che potesse essere indossato per tre mesi: alle 13 ha la prima prova, alle 17 è pronta.
Insieme a Bly, pochi giorni dopo, un’altra donna sceglie di lanciarsi nell’impresa: Elizabeth Bisland, prima giornalista per Cosmopolitan, decide partire e battere il record della collega. Un pragmatismo e una velocità di azione che si scontrano subito con le preoccupazioni dei colleghi uomini. «Sembra che nella mente maschile ci sia qualcosa di stranamente esilarante al pensiero di una donna che viene bruscamente strappata dalla sua casa senza tempo necessario per mettere in ordine il suo guardaroba – scrive Bisland -. A tutti gli uomini responsabili di questo viaggio la cosa apparentemente più deliziosa dell’intero problema era il fatto che, in cinque ore, dovessi essere pronta per un viaggio di 75 giorni intorno al mondo». Sia Bly sia Bisland riescono nell’impresa: anche attraverso i loro passi, ridisegnati tra i ricami, le donne hanno imparato a non avere paura. Riporta Bisland dai suoi viaggi:«Ero una giovane donna, completamente sola, che compiva una cosa alquanto vistosa ed eccentrica, eppure durante l’intero viaggio non ho mai incontrato altro che la più squisita e immancabile cortesia e premura».
Il giro intorno al mondo di Londonderry e Bell
Le storie delle pioniere viaggiatrici si richiamano reciprocamente e non smettono di essere “vive” nella potenza del loro messaggio: più che il “come”, conta il “perché”. Mentre Annie Londonderry fa il giro del mondo in bicicletta, Gertrude Bell, pur di esplorare le zone desertiche del mondo arabo, si sposta a cavallo: prima donna laureata in storia moderna a Oxford, è stata esploratrice, avventuriera, archeologa e saggista. Le basta una prima visita a Gerusalemme per innamorarsi del deserto e inoltrarsi fino al territorio dei Drusi, una zona «della quale non esistevano carte geografiche, visitata in passato solo da una manciata di occidentali». Da quel momento continua per tutta la vita a viaggiare in nave, treno, carrozza, con tutti i mezzi a disposizione e sfidando le convenzioni dell’epoca: visita l’Europa, l’India, il Medio Oriente, e la Mesopotamia. Nel 1911 conosce il futuro Lawrence d’Arabia, con cui collabora a partire dallo scoppio della prima guerra mondiale: ufficialmente associata all’Arab Bureau del Cairo, organizzano la sollevazione araba contro gli Ottomani. Si stabilisce a Baghdad, segue le vicende politiche di Palestina e Mesopotamia passate sotto il mandato inglese: sarà l’unica donna a partecipare alla Conferenza del Cairo (1921).
La curiosità delle gemelle Smith
Di eccezionalità del loro tempo racconta anche la storia di altre due protagoniste di “En route”: le gemelle Smith, Agnes Smith Lewis e Margaret Dunlop Gibson. Per volontà del padre John Smith, avvocato appassionato di linguistica, ricevono un’educazione che all’epoca era riservata ai soli figli maschi e iniziano a dedicarsi alle lingue straniere (tedesco, francese, italiano, spagnolo, greco moderno, latino e lingue semitiche antiche), stimolate dal fatto che il padre avesse stretto con loro il patto di portarle in tutti i Paesi di cui avessero imparato la lingua.
Dopo la morte del padre, ormai adulte, tornano in Medio Oriente. Rimaste vedove, non si spostano dai loro desideri, ma li attraversano percorrendo il mondo: da quel momento saranno numerosi i viaggi, che avranno come scopo principale lo studio e la ricerca di antichi manoscritti. Nel 1868 partono da Londra con il Murray’s Hand-Book of Egypt sottobraccio e la guida-protezione di Grace Blyth, loro educatrice e guida necessaria: in quanto donne non avrebbero potuto viaggiare da sole. Raggiungono Parigi, Vienna e Budapest. Navigano lungo il Danubio fino al Mar Nero, arrivano a Costantinopoli. Nel 1892, nel monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai, Agnes scopre quello che diventerà celebre come Codex Sinaiticus Syriacus: un manoscritto pergamenaceo che contiene una traduzione in siriaco dei quattro Vangeli. Per il fatto di essere donne, non riceveranno mai alcun riconoscimento dall’Università di Cambridge. Intanto, continuano a viaggiare: sono le uniche a muoversi con una moderna automobile per brevi spostamenti. Utilizzano per i loro viaggi tutti i principali mezzi di trasporto della loro epoca, da quelli più innovativi e rapidi – come auto, treno e imbarcazioni a vapore – a quelli più tradizionali, come il cavallo.
«Il progetto si fa mentre si cammina»
Nel tempo e nello spazio, i viaggi delle donne continuano a parlarsi e a disegnarne altri. «Illustrando i viaggi di queste donne, abbiamo di fatto raccontato i nostri viaggi personali», aggiunge Chiuri nell’intervista. «Quelli che con Karishma facciamo nel nostro lavoro, dedicati allo studio e alla ricerca: in questo progetto in biblioteca abbiamo avuto l’occasione di mostrare al pubblico, addirittura di esporre, il nostro percorso di documentazione e di riflessione, dando ad esso maggiore enfasi rispetto al manufatto finale, come avviene invece nel normale processo creativo della moda». Riscrivere i processi: il potere della testimonianza femminile evolve e si rinnova nel tempo. «Il progetto si fa mentre si cammina», conclude Chiuri: la storia delle donne, “en route”, continua a espandere il mondo e a «rompere la trappola».
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