“Musica per Gaza”, il festival di Emergency unisce le voci contro le guerre

Le parole creano e costruiscono mondi. Quando più voci nominano la parola “pace” questa riesce a farsi viva, nitida e squarciare il silenzio. “Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza” è il titolo della raccolta dei versi che hanno risuonato a Reggio Emilia, in piazza Prampolini, durante il concerto-evento “Musica per Gaza”: l’appuntamento, di parole e musica, che ha accompagnato la conclusione della quinta edizione del Festival di Emergency.

Tre giorni, dal 5 al 7 settembre, per mettere al centro “La voce” – fil rouge tematico di quest’anno – e creare spazi di confronto dove immaginare e iniziare a costruire una società più giusta, più equa. Praticare e rivendicare i propri diritti ad alta voce, anche quando il mondo sembra andare in direzione opposta, significa scegliere di unire in un mondo che, sempre più, divide: «Stanno succedendo delle cose che ci fanno sentire impotenti in quanto cittadini. C’è uno scollamento tra quello che chiede e percepisce l’opinione pubblica e quello che poi effettivamente fanno i governi» spiega ad Alley Oop Simonetta Gola, direttrice della comunicazione di Emergency e ideatrice del festival – Ma questa frustrazione che sentiamo non può diventare inattività. Abbiamo le nostre voci: hanno un potere, soprattutto se vengono messe insieme».

e voci della pace sono pragmatiche ma stentano ad essere ascoltate: «La voce di chi non vuole la guerra è sempre un’alternativa molto concreta e pratica – specifica Gola – Nessuno dice ‘non si fa la guerra’ senza fare altro: ci sono tantissime organizzazioni che, nel loro quotidiano, investono grande impegno nel costruire la pace. Ma per ampliare la loro voce serve unire anche le voci di chi ha più pubblico, per aiutare a rendere visibili le rivendicazioni e le storie individuali che non trovano spazio ma non possono rinunciare a quello che è il portato della loro esperienza». Le poesie da Gaza che hanno aperto il concerto lo dimostrano. «Oggi è sempre più urgente dire a gran voce che non possiamo normalizzare la guerra – sottolinea Gola –  Invece stiamo andando in quella direzione».

Sul palco Ambra Angiolini con la figlia Yolanda Renga

Per cambiare direzione e spostare la traiettoria verso un mondo che sia e resti umano, serve riscoprirsi tali. Una consapevolezza che le giovani generazioni possiedono e nutrono senza esitazioni: «È stata mia figlia a portare me» racconta ad Alley Oop Ambra Angiolini che, insieme alla figlia Yolanda Renga, ha condotto l’evento “Musica per Gaza”. Un incontro generazionale che pone delle domande e cerca delle risposte: «Un giorno Yolanda viene da me e mi dice che vuole fare qualcosa, che ha bisogno di trovare un modo per essere utile rispetto a quello che sta accadendo – spiega Angiolini ad Alley Oop – Io non ho una risposta, ma mi sembra che in questo momento il rischio di dividerci sia più grande della necessità di unirci».

E l’arte può unire oltre ogni retorica, aprendo alle emozioni: dolore compreso. «L’arte ci unisce perché ci fa sentire il dolore dov’è e dove deve fare male a tutti noi – continua Angiolini – Da adulta dovrei avere delle risposte che invece non ho. E allora seguo lei, Yolanda: è nata così l’idea di fare quello che entrambe sappiamo fare. Metterci a disposizione. Lo abbiamo fatto con Emergency per creare un’unica voce, essere presenti con le nostri voci e i nostri corpi. Non possiamo essere assuefatti a tutto questo dolore».

Ogni gesto fa la differenza, «Senza etichette politiche e guerriglie social»

A proprio modo, come si può e si sente. A bordo della Global Sumud Flottilla, la più grande missione civile internazionale mai organizzata per tentare di rompere il blocco navale di Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione palestinese, ci sono volontari e volontarie di tutte le età. Le voci della Life Support, in collegamento, salutano la piazza e dimostrano che ogni gesto può fare la differenza: l’umanità che non cede ad alcuna propaganda politica.

«Voglio credere che ognuno di noi a suo modo possa fare la differenza – afferma Angiolini – C’è chi sceglie un video, chi invece preferisce silenziosamente stare negli ospedali. Per quanto mi riguarda, abbracciare la gente e stringere le mani, mi dà più la sensazione che lo sto facendo davvero. Oggi il terzo settore è quello che salva sempre le persone ma non ha abbastanza fondi. Ampliare e dare spazio alle loro voci significa fare la politica buona, quella che unisce e dialoga».

Dialogare per unire è l’obiettivo di “Musica per Gaza”: «Non mi faccio mettere addosso etichette politiche, né lego alla mia professione la scelta di mettermi a disposizione» sottolinea ad Alley Oop Angiolini. E, in riferimento alla polarizzazione del discorso social che investe chi si espone o no su Gaza, aggiunge: «Quello che mi spaventa di più è che si viene facilmente aggredite anche per il modo in cui si sceglie di fare le cose: nei commenti social c’è chi ci ha incoraggiate, dandoci fiducia, ma c’è anche chi ci ha dato delle ridicole. Le guerriglie urbane social sono ridicole mentre continua a scorrere sangue. Servirebbe invece essere a disposizione, seguendo ognuno il proprio percorso: io e Yolanda non vogliamo rimanere ferme e, essere presenti in questa iniziativa con Emergency, è un modo per fare il ‘nostro’ cercando di unire invece di dividere come fanno le guerre. Che ognuno di noi metta le proprie forze dentro qualcosa che possa essere una strategia e un progetto: fare quello che ci è possibile fare. C’è da mettere la mia faccia? La mia voce? Lo farò».

Una scelta che, per le donne, espone a rischi ulteriori: il potere delle donne su di sé, e sulle loro voci, resta un problema per una società che, come dimostrano i recenti casi dei siti sessisti, sulle donne esercita sopraffazione e controllo. «Bisognerebbe avere il buon senso di prendere le distanze da tutta una serie di tematiche a cui noi donne siamo più abituate perché ci siamo dovute conquistare tutto, anche il diritto di studiare – dice Angiolini ad Alley Oop – Se una società di sesso maschile va in crisi perché qualcosa è cambiato e va rimesso in equilibrio allora direi che è il momento che i maschi che possono ripopolare la nostra fiducia si facciano sentire molto di più. È la loro battaglia e li riguarda direttamente. Non possiamo essere sole e in prima linea anche nei casi che ci vedono come vittime, come se la violenza contro le donne fosse un nostro problema mentre è un problema che riguarda gli uomini».

Il potere delle voci e della musica: «Parlare meno, farci sentire di più»

Più forti e più potenti insieme. Le voci di chi lavora sul campo si sono alternate a quelle degli artisti in uno spettacolo di due ore, condotte dalle poesie di 32 scritti autori palestinesi, molti dei quali morti sotto le bombe, tra le macerie o nei campi profughi. La musica aiuta a connettere: «Trovo inevitabile essere qua. Trovo inevitabile l’essere umana e dimostrarlo a me stessa e agli altri, a chi pensa che non sia necessario» dice Levante che, dal palco, intona “Abbi cura di te”: mettere in connessione le emozioni.

Le fa eco la cantautrice Francamente per cui essere presenti non solo è «un dovere umano» ma anche «il minimo che possiamo fare come persone privilegiate dall’altra parte del Mediterraneo per ampliare le voci del popolo palestinese». L’obiettivo congiunto degli artisti e delle artiste è quello del “fare”: «Credo che in questo momento si possa parlare meno in generale, ma farci sentire di più nei momenti e nelle occasioni in cui effettivamente il nostro apporto può contare» racconta ad Alley Oop Maurizio Carucci degli Ex-Otago, che aggiunge: «Sembra che in questo momento tutti effettivamente abbiano questo desiderio fortissimo di dire la loro, soprattutto attraverso i social. Poi, effettivamente, per le cose che contano sul serio, si fa più fatica a essere presenti. Essere qui oggi significa fare qualcosa di concreto ampliando i messaggi al nostro pubblico: non è semplice stare in equilibrio, affrontando la complessità ed esponendosi senza svuotare di significato le cause, ma dobbiamo provarci unendo le voci».

Esporsi attraverso l’arte: «L’obiettivo è far crescere la consapevolezza»

A interpretare le poesie che arrivano da Gaza anche l’attrice Camilli Filippi. «Se mi espongo è perché credo in quel che faccio. Parliamo di diritti umani e questo non significa essere contro un popolo o una religione ma contro una politica che mette in secondo piano il rispetto della vita e delle leggi internazionali» dice ad Alley Oop, aggiungendo: «La storia ci insegna che nessuno può escludere di trovarsi, un giorno, dalla parte di chi oggi subisce. L’obiettivo è contribuire a far crescere la consapevolezza che ogni volta che dei diritti vengono negati, si indebolisce la tutela dei diritti di tutti».

Nella piazza sventolano le bandiere della Palestina e, «Ogni voce diventa una goccia nel mare», come racconta Mirco Mariani degli Extraliscio ad Alley Oop: «Anche se piccola, senza questa goccia, unita alle altre, il mare non ci sarebbe. La musica è la forma d’arte che più crea condivisione e oggi questo serve per stare uniti. Come Gino Strada chiamava tutti i suoi pazienti con nome e cognome, così vorrei che la musica aiutasse a non dimenticare nessuno. I loro nomi e cognomi». Le voci di artisti, giornalisti, operatori umanitari e attivisti hanno fatto questo: con oltre 16mila presenze, hanno unito le gocce di un mare che accoglie e protegge. Invece di dividere e respingere.

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