Di padre in figlia: Gaia Paradisi, diventare ceo a 27 anni

Nessun patto di famiglia né piano di successione. Gaia Paradisi è diventata amministratrice delegata dell’azienda fondata da suo nonno Antonio nel 1957, la torneria di precisione Paradisi srl (oggi B Corp) a soli 27 anni, per volontà della vita, che spesso accade in modo imprevedibile.

Sandro, suo padre, è scomparso a 60 anni, pedalando. Un infarto, mentre era in bici con gli amici in una mattina di gennaio. E così, Gaia, si è ritrovata a guidare i 45 collaboratori dell’azienda metalmeccanica di Jesi (8.974.000 di euro di fatturato nel 2024, con il 21% di export), senza preavviso. Ma non senza esperienza. «Mi sono rimboccata le maniche e ho capito che il sogno di mio padre, e di mio nonno prima di lui, sarebbe diventato il mio».

I trend nelle aziende familiari

La torneria Paradisi non è stata l’unica ad affrontare il ricambio generazionale negli ultimi anni. Anzi, secondo la XVI edizione dell’Osservatorio AUB, promosso da AIDAF (Italian Family Business), il post Covid ha segnato un deciso rinnovamento per molte aziende familiari, con una maggiore presenza femminile al vertice.

Oggi, le donne alla guida di imprese familiari sono il 22,5% (dieci anni fa erano il 10%). Una percentuale ancora bassa, figlia di una cultura che per molti anni ha privilegiato le “next gen” a trazione maschile. Eppure, le nuove leader sono particolarmente preparate: nell’84% dei casi hanno almeno una laurea triennale e due su tre hanno un titolo di studio in ambito economico.

Non solo: il 25% di loro ha avuto esperienze in altre aziende prima di prendere le redini del business di famiglia (percentuale che per gli uomini scende al 13%). Ancora poche le laureate in ingegneria: 6% di donne contro il 13,8% di uomini.

Tra impresa e famiglia

Gaia Paradisi rientra esattamente in quel 6%. Appassionata di matematica, si è laureata in ingegneria meccanica al Politecnico di Torino e ha fatto diverse esperienze internazionali prima di rientrare in Italia. «Non pensavo di lavorare nell’azienda di famiglia e i miei genitori non mi hanno mai spinta a farlo, ma a un certo punto, ho sentito crescere dentro di me la voglia di rientrare» ricorda.

Nel 2018, ha chiesto a suo padre di poter osservare da vicino cosa fosse quella “fabbrica” che tanto lo impegnava quando lei era piccola. «Ricordo che quando a scuola mi chiedevano che lavoro facesse mio papà, rispondevo “fa le viti”. Non sapevo spiegare cosa fosse un imprenditore, sapevo solo che l’azienda era quel “mostro sacro” che lo teneva spesso lontano da me» confida.

La conciliazione vita-lavoro è, infatti, uno dei primi nodi su cui la ceo ha iniziato a lavorare una volta diventata amministratrice delegata: «Non voglio perpetuare un modello rigido, figlio di tempi passati, ma rendere la flessibilità un tratto distintivo della mia azienda. Non è facile, perché siamo una realtà metalmeccanica che lavora su turni e con macchinari che hanno bisogno di supervisione, ma possiamo provarci».

Gli inizi in produzione

E lei, quei turni, li ha vissuti in prima persona. Il primo compito che le aveva affidato il padre, infatti, era quello di imparare a utilizzare un macchinario di ultima generazione che avevano introdotto in azienda: un tornio plurimandrino a controllo numerico MSW8x26. Una tecnologia che avrebbe dato avvio al processo di digitalizzazione dell’azienda.

«Sono andata in Svizzera a imparare direttamente dall’azienda produttrice e una volta tornata a casa, ho insegnato agli operatori come utilizzarlo, mentre loro hanno insegnato a me come usare gli altri torni. È stata una fase importantissima della mia formazione, anche se tutt’altro che semplice» ammette.

I pregiudizi erano tanti e neanche troppo velati: Paradisi non solo era una donna in un contesto prettamente maschile, ma era anche la figlia del titolare e una giovane laureata. Caratteristiche non comuni in produzione. Eppure, proprio il suo iniziare dal cuore tecnico dell’azienda le ha consentito di conquistare stima e fiducia di tutti. Ed è stato ciò che ha fatto la differenza quando, qualche tempo più tardi, si è ritrovata a prendere il posto di suo padre.

Succedere, all’improvviso

«Dopo la sua morte mi sono accorta che tanti di quei ragazzi che affiancavo sulle linee erano cresciuti con lui, che in fabbrica Sandro era un po’ anche il loro “papà”. Questo mi ha responsabilizzata molto, anche se ho precisato fin dal primo momento che non sarei stata la sua reincarnazione. Io avrei guidato a modo mio». E così è stato.

L’azienda è passata dal «tu» al «noi». Meno personalista e più comunitaria. Meno autoritaria e più olistica. «Mio padre era il classico imprenditore del suo tempo: determinato, carismatico, patronale. Era riuscito, a suo modo, a creare relazioni fortissime in azienda, ma nulla si muoveva senza di lui: dalle decisioni finanziarie al cambio delle lampadine. Anche la strategia di business esisteva solo nella sua mente: non ho trovato nessun un piano con obiettivi scritti da poter portare avanti» continua l’ad.

Con il supporto di un consulente, ha avviato il suo progetto che ha chiamato “Fabbrica comune”. Al centro: la squadra. Ergo: la managerializzazione dell’azienda. Ha creato un team di direzione e ha definito una visione, redigendo il primo piano strategico aziendale 2021-2023. Ha rimesso mano all’organizzazione, ha valorizzato i talenti già presenti in azienda spingendoli a non sentirsi delle monadi, ma a lavorare in un’ottica di gruppo. Ha scelto di circondarsi di donne. Non per una questione di genere, ma per merito.

Superare i bias di genere

«Non mi piace ragionare in termini di maschile e femminile, credo esistano competenze oggettive che vadano riconosciute e premiate. I gender bias sono ovunque, ma li abbattiamo solo dimostrando che siamo brave. Anche all’università era così: nella facoltà di ingegneria meccanica eravamo 5 donne su 200 iscritti, ma avevamo pieno diritto di essere lì. E la nostra professoressa, anche lei parte a suo modo di una minoranza, ce lo ricordava ogni giorno».

Con questo spirito è nata la sua squadra di direzione tutta al femminile. «So benissimo – continua l’amministratrice delegata – che all’inizio ci sono stati diversi mal di pancia, soprattutto in produzione e tutt’ora capita che qualche nuovo fornitore all’inizio di una riunione ci sottovaluti, ma siamo molto sicure di ciò che sappiamo fare. E questa è la risposta migliore per chi ha pregiudizi di genere».

Rigenerare la fabbrica con cultura

Ma i falsi miti da abbattere non sono legati solo al femminile. La più grande sfida di Gaia Paradisi, oggi, è cambiare la reputazione del mondo industriale. Passare dall’immagine di una fabbrica grigia, rumorosa e inquinante, a un modello etico e inclusivo, in cui le persone sono al centro.

Per questo, la torneria apre spesso le porte alle scuole e alle università e si fa interprete di un nuovo modo di intendere le “risorse umane”. Con la nuova ceo, infatti, sono arrivati “I venerdì in Paradisi”: un venerdì sera al mese, tutti i collaboratori e le collaboratrici dell’azienda sono coinvolti in esperienze culturali come visite nei palazzi storici di Jesi, spettacoli a teatro, degustazioni di vini, corsi di pittura e molto altro.

«Sono convinta che le aziende debbano prendersi cura delle loro persone, dal punto di vista professionale e umano. Se vogliamo creare un futuro sostenibile, l’unico modo è ripartire da qui. Dalla mente, dalle mani, dal cuore, di ognuno di noi. Per produrre valore, insieme» conclude l’imprenditrice.

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