Salute mentale: Unicef, la metà dei problemi insorge durante l’infanzia

Il disagio mentale può colpire chiunque, in qualsiasi momento e, per questo, ci riguarda direttamente. La salute mentale non esiste in isolamento: è plasmata dalle condizioni sociali come povertà, disuguaglianza, istruzione, lavoro e altri aspetti della vita. «Cercare di rappresentarla come una questione individuale, o ricondurla esclusivamente alla biologia o al funzionamento del cervello, non porterà a soluzioni durature — ed è fondamentale ricordarlo». E’ questo uno dei messaggi chiave della Settimana europea della salute mentale (dal 19 al 25 maggio 2025), che mette l’accento sul diritto delle persone ad accedere alle opportunità o al supporto di cui hanno bisogno per vivere una vita piena e lancia un forte richiamo alla necessità di investire nei diritti sociali delle persone.

Unicef: in calo la percentuale di bambini soddisfatti della propria vita

E la salute mentale è sempre più un tema che riguarda i più giovani: l’Unicef ricorda che nel 2022 in 43 Paesi dell’Ocse e dell’Ue, circa un individuo su sei di età compresa tra i 10 e i 19 anni soffriva di un disturbo mentale diagnosticabile. Circa la metà dei problemi di salute mentale manifestati in età adulta insorge durante l’infanzia, con ripercussioni significative sulla qualità della vita, il benessere mentale, le relazioni, l’istruzione e l’inserimento lavorativo degli adulti.

Secondo la Report Card 19 dell’Unicef Innocenti “Il benessere di bambine, bambini e adolescenti in un mondo imprevedibile”, il suicidio è la quarta causa di morte più comune tra gli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni; i tassi di suicidio in questa fascia di età sono sostanzialmente più alti tra i ragazzi rispetto alle ragazze.

Per quanto riguarda la soddisfazione degli adolescenti per la propria vita, nella maggior parte dei Paesi, la percentuale di bambini con un’elevata soddisfazione per la vita è diminuita tra il 2018 e il 2022. Le ragazze hanno meno probabilità di avere una elevata soddisfazione per la propria vita rispetto ai ragazzi. In quattro Paesi – Cile, Messico, Polonia e Turchia – il calo della percentuale di bambini con un’elevata soddisfazione per la vita è stato superiore a 10 punti percentuali. In Italia tra i 15enni, la soddisfazione della vita è leggermente calata dal 76% (2018) al 73% (2022).

Sulla soddisfazione per la propria vita per i ragazzi incidono fattori quali l’incidenza della condizione socioeconomica familiare; l’esercizio fisico regolare; l’uso intenso dei social media; la frequenza delle conversazioni con i genitori; La frequenza di episodi di bullismo.

La relazione con l’utilizzo dei social media e il ruolo chiave delle famiglie

In particolare per quanto riguarda l’utilizzo dei social media: gli adolescenti che utilizzano moderatamente i social tendono ad avere una soddisfazione di vita leggermente superiore rispetto agli utenti più assidui o a coloro che non li utilizzano affatto. L’impiego dei social media è stato associato a una percezione negativa della propria immagine corporea, sia per le ragazze che per i ragazzi.

In tutti i Paesi, più della metà degli adolescenti ha affermato che i genitori dedicano del tempo a conversare con loro almeno una volta a settimana, dal 53% in Giappone al 91% in Irlanda. L’Italia ha il 79%.

Per quanto concerne il diffuso fenomeno del bullismo, nella maggior parte dei paesi si è verificata una diminuzione dei tassi, compresa l’Italia, dove il 14,3% dei quindicenni afferma di aver subito atti frequenti di bullismo.

In Italia l’approccio di Fondazione Progetto Itaca, con la persona al centro

Secondo una recente indagine Ipsos, in Italia – in generale e non solo per gli adolescenti – la salute mentale è considerata il secondo problema di salute più rilevante dopo le malattie oncologiche. Quasi un italiano su tre (28%) dichiara di soffrire di disturbi psichici, con un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. I disturbi più frequenti includono ansia, fobie, stress post-traumatico e depressione. Nonostante la crescente consapevolezza, quasi la metà degli italiani (46%) ritiene che la salute mentale riceva meno attenzione rispetto a quella fisica da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

«La salute mentale non riguarda solo chi è in difficoltà, ma intere famiglie e comunità. L’ascolto, la formazione e il lavoro possono trasformare il dolore in risorsa. Crediamo profondamente che offrire strumenti concreti significhi restituire dignità, autonomia e speranza»,  dice Felicia Giagnotti, presidente di Progetto Itaca, la fondazione che coordina 17 sedi attive sul territorio nazionale, promuovendo inclusione e benessere attraverso il lavoro, l’ascolto e la formazione delle famiglie.

Lavoro e supporto alle famiglie

Con un focus sul lavoro sono nate nel 2012 le Job Station, in collaborazione con Fondazione Italiana Accenture ETS e pensate per offrire un’opportunità professionale reale a persone con disagio psichico, contrastando lo stigma e l’isolamento. Si tratta di centri di smart working gestiti dalle associazioni della rete Progetto Itaca dove i beneficiari lavorano in ambienti protetti, accompagnati da tutor esperti e in costante dialogo con le aziende grazie al supporto del supervisor aziendale. Ad oggi sono attive 10 Job Station in 8 città italiane, con oltre 149 inserimenti lavorativi in più di 35 aziende partner. Solo nel 2024, la sede di Milano ha visto 23 lavoratori attivi, di cui 14 a tempo indeterminato, grazie alla collaborazione di 13 aziende del territorio.

Accanto all’inclusione lavorativa è fondamentale non dimenticare il supporto alle famiglie, che convivono quotidianamente con il disagio psichico all’interno delle mura domestiche. Progetto Itaca con il programma Famiglia a Famiglia offre un percorso gratuito di formazione e condivisione rivolto ai familiari di persone con disturbi mentali.

Annalisa, madre di un giovane con disturbo schizoaffettivo, racconta: «Siamo entrati in contatto con Famiglia a Famiglia dopo un momento molto critico: l’esordio psicotico di nostro figlio Carlo. Non sapevamo come muoverci, né come aiutarlo senza invadere. Il corso ci ha permesso di capire meglio la sua condizione, ma anche di rimanere una famiglia unita. È stata la prima volta in cui qualcuno ci ha ascoltato non solo come genitori, ma come persone che soffrono accanto a chi soffre».

Anche il fratello di Carlo, Francesco, ha seguito il percorso: «Spesso si parla dei caregiver come se fossero solo i genitori. Ma anche essere fratelli di una persona con un disturbo psichico è un’esperienza profonda, e in parte invisibile. Prima cercavo di ‘fare qualcosa’, spesso insistendo troppo. Famiglia a Famiglia mi ha insegnato ad ascoltare, a rispettare i suoi tempi. È stato uno spazio dove ho potuto parlare senza vergogna, confrontarmi senza filtri».

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