Malattie rare, festeggiare la diversità al di là della diagnosi

«Abbiamo avuto molta paura a lasciarlo partire. Il distacco spaventa molto, ma è l’unico modo perché Leonardo veda il mondo con i propri occhi. Anche se è totalmente dipendente rispetto alle autonomie quotidiane, non possiamo privarlo di un diritto fondamentale: quello di festeggiare la vita».

Nella giornata mondiale che celebra le malattie rare il 28 febbraio, Serena Comincioli si apre alle pagine di Alley Oop non per raccontare la drammaticità della malattia genetica del figlio Leonardo, ma per ricordare a tutti noi che l’universo non ammette perfezione e la diversità, quando è inclusa nel mondo sociale, è ricchezza e, soprattutto, speranza.

Voce chiara, limpida, una sfumatura di emozione nel tono, Serena si dice orgogliosa di raccontare la famiglia che, insieme al marito Simone Allocchio, ha costruito tassello dopo tassello. Leonardo oggi ha quattordici anni ed è passato molto tempo dall’annuncio della diagnosi: «Vostro figlio ha la sindrome di Pitt-Hopkins».

Oggi la mamma guarda al futuro: «La vita va festeggiata, sempre. Un mio tatuaggio dice “proud to be abnormal”, ed è quello che insegno a mio figlio. Lui non è la sua malattia».

La sindrome di Pitt-Hopkins

La sindrome di Pitt-Hopkins è una malattia genetica non ereditaria che comporta un ritardo cognitivo, assenza di linguaggio, difficoltà respiratorie, epilessia, scarse autonomie. Rientra tra le malattie dello spettro autistico: in Italia si contano solo 73 casi, non solo a causa della rarità, ma anche per gli immensi tempi di diagnosi effettiva.

Leonardo assume circa 10 farmaci e integratori al giorno, ha bisogno di un pannolino per la quotidianità, ma sta imparando a svestirsi e a mangiare da solo. «Non parla, ma ha imparato la parola “mamma” che scandisce, insieme ad altre lallazioni, per farsi comprendere. E ci riesce benissimo!» dice Serena, con una risata di petto. Leonardo si fa capire, puntando il dito sulle parti del corpo che provocano dolore, o nell’ambiente intorno a sé per comunicare un desiderio. Inoltre, utilizza un quaderno composto di immagini Pecs per aiutarsi nella comunicazione con le altre persone.

«I medici avevano detto che non avrebbe mai camminato», e invece Leonardo cammina. Anzi Leonardo corre. Ha trovato un equilibrio che è tutto suo, ma che è funzionale a farlo muovere, a mantenersi attivo, a scoprire il mondo. I miglioramenti ci sono, «lenti e inesorabili», come li definisce Serena, ma anche evidenti. Sedute di fisioterapia, logopedia, piscina, interventi riabilitativi gli hanno permesso di raggiungere passi importanti. «È un ragazzo che ride e si diverte, di carattere amabile, anche se, a volte, la ribellione adolescenziale sta cominciando a farsi sentire!»

L’Associazione Italiana Sindrome di Pitt Hopkins – Insieme di più – Onlus

Ci sono voluti anni, prima che un’associazione per la sindrome di Pitt-Hopkins nascesse su suolo italiano. Era il 2014 quando è stata fondata la Insieme di più, del cui direttivo Serena ora fa parte in qualità di segretaria. Grazie a internet e ai social – visto che i medici non sapevano molto della sindrome – Leonardo e la sua famiglia hanno trovato un ambiente dove poter discutere dei propri problemi e mettersi in comunicazione con realtà mediche e pubbliche che potessero aiutarli nell’affrontare il quotidiano. L’associazione nasce infatti per dare aiuto e sostegno ai bambini portatori della sindrome, ai loro genitori e alla ricerca scientifica per provare a migliorare la loro qualità della vita.

Ogni anno le famiglie, i medici specializzati e le altre figure professionali che ruotano intorno alla disabilità si riuniscono per tenere convegni e dare il proprio sostegno. «L’associazione ha festeggiato il decimo compleanno e ci stanno arrivando notizie positive da un progetto di ricerca negli Stati Uniti. Stanno sperimentando un farmaco che, in basi agli studi sulle cavie, dovrebbe portare dei miglioramenti a livello cognitivo e comportamentale. Non è una cura, ma è un primo passo» spiega Serena, con tranquillità e un lampo di speranza nella voce.

Massimiliano Rosolino ha scelto di supportare l’associazione e di farle da testimonial, fino al punto di scrivere un libro, dal titolo Il Campione (edizioni Dantebus), per parlare, come solo lui sa fare, della sindrome di Pitt Hopkins, dell’importanza della ricerca, della voglia di andare avanti e di superare i propri limiti giorno dopo giorno.

L’indipendenza per Leonardo

«Nonostante tutte le difficoltà che Leonardo potrà sperimentare in futuro, non voglio che venga escluso dalla vita». L’obiettivo di Serena e di Simone è chiarissimo, lo ripetono con convinzione e ottimismo: Leonardo deve vivere raggiungendo un proprio significato di indipendenza, e loro gli saranno accanto a guidarlo in questo cammino. «Non sarà facile, ma dobbiamo tentare».

Serena si infuria, quando parla delle battaglie che è costretta a combattere contro la burocrazia e le istituzioni. Dopo un’inclusione totale alle scuole elementari, con compagni e insegnanti, Leonardo si è trovato solo alle scuole medie: il sostegno è mancato, si sono trovati di fronte alle incompetenze del sistema educativo. È una lotta impari, estenuante, che va portata avanti di giorno in giorno per ottenere che si riconosca non il “di più”, ma il giusto.

«Per fortuna stanno arrivando le scuole superiori» ci dice Serena. «Lo abbiamo iscritto a un liceo delle scienze umane di un paese vicino, che sappiamo si prenderà cura di lui e sarà insieme ad altri tre compagni che lo conoscono dalle elementari. Leonardo è felice e non vede l’ora».

Ma la vera svolta è avvenuta la scorsa estate: Leonardo ha fatto la prima vacanza al mare da solo, senza genitori. «C’erano con lui gli educatori che conosce da una vita, ma avevo paura che, soprattutto nelle ore notturne, quando è più agitato, la nostra mancanza potesse sconvolgerlo» ci confida Serena.

E invece ha nuotato per la prima volta da solo, con le dovute precauzioni, gli hanno insegnato come fare la spesa per conto proprio, si è tuffato non solo in mare a Cervia, ma anche in tutte quelle attività quotidiane come viaggiare, stare in un gruppo, rispettare le regole della comunità e socializzare con coetanei e persone sconosciute. «Quando l’ho visto scendere dal pullman con quel sorriso a trentadue denti, ho capito che avevamo fatto la scelta giusta». Leonardo si è divertito, nel rispetto dei suoi limiti e della sua persona, con una lezione ben impressa nella mente: la disabilità ha bisogno di inclusione, perché è così che scardiniamo i pregiudizi.

«Era così stanco che aveva perso la voce. Quasi non lo riconoscevo!» ironizza Serena al telefono. Perché sì, come si può reagire alla diagnosi di una malattia rara? «Farsi una bella risata a cuore aperto!».

L’importanza di ridere e sdrammatizzare

La prima risata, un po’ amara, Serena e Simone l’hanno fatta il giorno della diagnosi, quando Leonardo aveva tre anni. La vita di questa famiglia è cambiata nell’arco di un istante, è bastata una parola, che contiene in sé un futuro ignoto: quello che detta la malattia. Non potevano, però, cadere nel vittimismo; dovevano reagire. Hanno cominciato così, occhi negli occhi: «Guardiamo il lato positivo, siamo famosi, non uno bensì due attori per ricordarci come cavolo si chiama la sindrome di Leo: basta ricordare i cognomi di Brad Pitt e Anthony Hopkins».

E così hanno continuato: viaggi con tutti i mezzi di trasporto, weekend all’aperto e all’insegna del divertimento, pizzate, feste di ogni tipo, perché la vita va vissuta con lo spirito giusto. A Leonardo lo ripetono ogni giorno: a tutta vita! Perché il mondo è anche suo, di quel ragazzo con le proprie particolarità e stereotipie, che arricchisce la società con la sua diversità e fa la sua parte per rendere il mondo un posto migliore.

«Leonardo ha un carattere forte e deciso, è molto amato e si sta già ritagliando uno spazio tutto suo nella realtà che lo circonda. Sta crescendo, anno dopo anno, e non vedo l’ora di conoscere l’uomo che diventerà, il ragazzo che già è e che ci darà filo da torcere a tutti quanti» conclude Serena.

Loro sono lì, sempre per lui, a capire le sue necessità, senza ingabbiarlo in schemi precostituiti. Tanto si parla di progetti di vita, di indipendenza, eppure la riforma è stata rinviata al 2027, con la possibilità che il decreto venga modificato o non entri mai in vigore come avrebbe dovuto.

Ricordiamoci quanto sia essenziale l’autonomia per la dignità della persona. Leonardo, con la sua storia e il suo modo di affrontare la vita, ce lo sta dimostrando. Combattiamo insieme a lui. E urliamo, soprattutto oggi, 28 febbraio, il suo motto: a tutta vita!

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