Nessun accenno alle guerre. Nessun riferimento ai temi sociali. Non si parla di immigrazione, non si mandano messaggi politici. Né si rivendicano diritti. Il Festival di Sanremo torna alla “tradizione” lasciando fuori crisi internazionali e questioni politiche. Come ha specificato Carlo Conti, conduttore e direttore artistico tornato al timone del Festival di Sanremo dopo il suo triennio nel 2015-2017: «Nei testi si torna a parlare di un micromondo fatto di famiglia e rapporti personali».
Dall’11 al 15 febbraio, l’evento televisivo e musicale capace di catalizzare l’attenzione di tutto il Paese, segnerà un giro di boa importante. Ma sembra lontanissima la scorsa edizione: appena un anno fa, proprio dal palco dell’Ariston, Ghali e Dargen D’Amico chiedevano il cessate il fuoco a Gaza. E le canzoni, cover incluse, diventavano occasione per parlare di cittadinanza, crisi migratoria, diritti, seconde generazioni e potere dei corpi.
Dal primo festival a oggi, alla vigilia di Sanremo il mantra sembra essere sempre lo stesso: il Festival non dev’essere un palco politico. Poi, in un modo o nell’altro, riesce ad esserlo sempre. Soprattutto per ché sono proprio le cose «più dirette, più piccole, quelle che ci circondano» a raccontare chi siamo.
Cosa racconta il Festival di Sanremo
Un palco di per sé politico, quello dell’Ariston, lo è già in fatto di temi, rappresentazioni e narrazioni. Contare le donne nelle edizioni del Festival, ad esempio, non è un mero esercizio numerico (quest’anno 12 le artiste in gara su 29 big). Ma significa allenare lo sguardo a rendere visibili le disparità.
Sottolineare la scarsa inclusione delle persone con disabilità nella gara canora per eccellenza (nessuna presenza anche quest’anno) non è chiedere che la disabilità venga prima del talento. Ma, al contrario, valorizzarlo in base alle capacità personali evitando rappresentazioni di “inspiration porn” e rompendo la patina di disagio e imbarazzo in cui la disabilità è ancora avvolta.
Guardare all’importanza che hanno le parole delle canzoni, aprendo riflessioni sulla loro responsabilità, non è demolire la musica che evolve. Ma provare a capire come il mondo cambia attraverso il linguaggio e viceversa. In tutte queste dimensioni, la 75esima edizione del Festival di Sanremo ha già qualcosa da dire: se è vero che le canzoni quest’anno parlano soprattutto d’amore, è altrettanto vero che l’amore – così come viene raccontato dalla maggior parte dei big in gara – non smette di parlarci di come il mondo sta cambiando. Relazioni incluse.
Nelle canzoni parole della “tradizione”, ma servono nuovi modelli
Cosa raccontano le parole delle canzoni sanremesi? A rispondere è direttamente l’Accademia della Crusca che per il 2025 ha analizzato i brani in gara, sottolineando la predominanza di un linguaggio familiare e ripetitivo: “amore”, “cuore”, “vita” e “occhi” i lemmi più ricorrenti nelle ballate pop e non.
I rapper si sono più o meno adattati al tono mainstream della kermesse: «Io non soffro per te, sono pronto a sbagliare come un uomo d’onore» canterà Tony Effe, utilizzando nell’espressione “uomo d’onore” un termine della malavita che – riporta Treccani – indica «l’affiliato alla camorra, alla mafia o ad altre associazioni a delinquere, cui esso è legato da un giuramento che lo impegna alla difesa dell’onore comune». Carlo Conti annuncia che «Bella stronza di Fedez e Marco Masini sarà proposta a Sanremo 2025 in una versione nuova adattata ai tempi». Alcune eccezioni, comunque, si distinguono per la qualità letteraria e i riferimenti a nuovi modelli: Brunori Sas in “L’albero delle noci” racconterà intimamente la paternità, condividendone la paura di sentirsi inadeguati.
Lucio Corsi, 32 anni e al suo primo festival, titola la sua canzone “Volevo essere un duro” e porterà all’Ariston ironia e vulnerabilità, lontano dal modello maschile performativo a tutti i costi: «Non sono nato con la faccia da duro/Ho anche paura del buio/Se faccio a botte le prendo/ Così mi truccano gli occhi di nero».
Anche Simone Cristicchi non ha paura della fragilità. Né della tenerezza: «Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei» sono le parole che rivolge alla madre nella sua lettera-canzone “Quando sarai piccola”: «Quando i nostri genitori invecchiano ritornano un po’ bambini, con tutta la tenerezza e l’impotenza che sentiamo nel vederli cambiare. Il tema è universale e sento una grande responsabilità» ha detto il cantante a Tv Sorrisi e Canzoni. E lo è anche nei dati: secondo l’Osservatorio Nazionale sui bisogni di welfare di lavoratrici e lavoratori con responsabilità di cura, il 46% dei caregiver di familiari anziani, malati o con disabilità.
Amore o insofferenza rispetto a una mancata “centralità” maschile?
Anche nelle storie individuali, quindi, può esserci il “collettivo”. L’amore primeggia nelle narrazioni ma, anche se le parole con cui viene descritto parlano soprattutto di storie personali, la dicono lunga sulle relazioni oggi. Ruoli e stereotipi di genere inclusi: se le donne si mettono al centro, pur nella “drammatica” parabola amorosa in cui alla fine riescono a riscoprirsi, da parte soprattutto del maschile c’è rimorso, senso di colpa, una buona dose di tossicità a tutti i costi, tantissima sofferenza rispetto all’amore (e a chi si ama).
«E se in amore non soffri, non sogni» dice Irama. «E ti stancherai come fai coi vestiti. Mi romperai come i tuoi giochi» scrive Rkomi. «Amo solo mia madre Annarita» canta Tony Effe. «Se non mi ami muoio giovane» conclude Achille Lauro: ferite “emotive” che, più che mettere a nudo intime vulnerabilità maschili, sembrano suggerire una certa insofferenza rispetto alla possibilità di poter non essere sempre e comunque al centro.
Se il 2024 è stato “l’anno delle donne”, il 2025 …
Se la scorsa edizione ha rappresentato “l’anno delle donne”, con la vittoria di Angelina Mango (dieci anni dopo un’altra donna, Arisa) e il premio Mia Martini assegnato a Loredana Bertè, quest’anno la presenza femminile sancisce il suo protagonismo: «Fammi mille complimenti e stop/Tanto i miei difetti già li so» canterà Marcella Bella all’Ariston con la sua “Pelle diamante”, anticipando quello che sembra essere l’attitudine delle artiste in gara quest’anno: non chiedere permesso. Insieme a lei, in gara, ci sono Giorgia, Gaia, Joan Thiele, Noemi, Rose Villain, Sarah Toscano, Clara, Serena Brancale, Elodie, Francesca Michielin, California del duo Coma_Cose. È donna anche la penna che firma più brani in gara: Federica Abbate, con sei canzoni scritte, è l’autrice che primeggia (il 66,6% dei brani in gara alla prossima edizione del Festival della canzone italiana è stato scritto dagli stessi 11 autori).
«Arrivano le critiche per come mi vesto con la solita aggiunta finale: ‘E poi fa la femminista’. Quello è il punto: lo sono e posso fare quello che mi pare. Da donna sono libera di sentirmi sensuale quando voglio e questo non mi deve sminuire» aveva sottolineato in un’intervista a Repubblica Rose Villain. «Volevano fare di me una Mia Martini a 25 anni e mentre io volevo essere leggera e felice per questo ho voluto cambiare» ha raccontato Elodie in relazione al prossimo festival. «Non abbiate timore di difendere le idee: rimangono negli occhi della gente, hanno più potere della rabbia» afferma Joan Thiele per descrivere il suo brano “Eco”. Parole che descrivono una fotografia precisa, in cui le donne non sono al centro dell’inquadratura come “oggetti” o interpreti di monologhi per forza commoventi (quest’anno non ci saranno ha affermato Conti). Ma la creano attraverso il loro sguardo come soggetti attivi: un cambio di traiettoria sempre più chiaro in 75 anni di festival.
Artisti con disabilità, i grandi assenti in gara
«Mi piacerebbe che sul palco del Festival di Sanremo 2025 venga dato spazio all’inclusione, ovvero agli artisti con disabilità valutati e scelti non perché debbano fare pietà. Ma per le loro qualità artistiche» aveva detto il vicepresidente della Camera dei deputati, Sergio Costa, direttamente da Montecitorio in occasione della conferenza “Entusiasmabilità, musica e inclusione”.
Anche quest’anno il festival di Sanremo è un’occasione mancata per ampliare le rappresentazioni e dare spazio al talento. «Il talento dev’essere padrone. In tutto e per tutto – aveva specificato ad Alley Oop Graziella Saverino, presidente dell’associazione Entusiasmabili, dedicata all’inclusione e al supporto delle persone con disabilità – Ma occorre aprire le porte con maggiore fiducia rispetto alla disabilità».
Nessun artista con disabilità parteciperà alla gara canora. Ma, come già accaduto in altre edizioni, la disabilità sarà affrontata come “tema sociale” durante la terza serata del festival – giovedì 13 febbraio – quando, sul palco dell’Ariston, approderà il Teatro Patologico: fondato dall’attore e regista Dario D’Ambrosi, come riporta il comunicato Rai, «il Teatro Patologico rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale nonché simbolo dell’inclusione che rompe le barriere della società e della cultura tradizionale. D’Ambrosi ha avuto il coraggio di trasformare quello che per molti era un ostacolo, la disabilità, in una risorsa capace di arricchire e rivoluzionare il linguaggio teatrale».
Un’iniziativa che ricorda ospitate degli anni passati, rischi di retorica inclusi. Durante il Festival di Sanremo 2021, ad esempio, Amadeus ha presentato Donato Grande, attaccante della Nazionale italiana di Powerchair Football, come «un ragazzo che soffre di una patologia»: un concetto rimarcato anche quando, parlando di una necessaria equità nella società, utilizza l’espressione «soffre di disabilità».
«Abbiamo assistito alla migliore lezione di abilismo, termini offensivi e discriminatori che ci portiamo dietro dal modello medico assistenzialisti della disabilità, inspirato porn, infantilizzazione, paternalismo, narrazione compassionevole e pietista» scriveva a riguardo l’attivista e campionessa paralimplica Sofia Righetti.
Nel 2022 la disabilità è stata in parte rappresentata dall’attrice Maria Chiara Giannetta, che ha raccontato la sua interpretazione di Blanca: una stagista cieca della serie “Don Matteo”. In quell’occasione l’attrice ha sottolineato quanto il suo lavoro fosse stato impreziosito dall’aiuto di alcuni consulenti: professionisti con disabilità saliti sul palco con lei, a cui però è stato riservato solo qualche secondo di parola.
Raccontare la disabilità, senza metterla prima della persona, si può. Anche a Sanremo: qui nel 2021 l’attrice Antonella Ferrari si è esibita in un potente monologo in cui il talento di Ferrari emerge insieme alle sue rivendicazioni, esplicitate con l’urlo «Io non sono la sclerosi multipla». Ancora prima, nel 2016, Ezio Bosso si esibisce al Festival con una magistrale esecuzione del suo lavoro di artista, accompagnata comunque dall’esigenza contestuale di voler a tutti i costi ricordare la sua condizione di vita. Ezio Bosso, prima ancora che “un maestro di vita”, è stato uno dei migliori professionisti nel suo campo.
Durante l’edizione del 2012 condotta da Gianni Morandi la ballerina Simona Atzori balla e interpreta una coreografia di Daniel Ezralow, mostrando semplicemente le sue capacità di danzatrice senza ulteriori indugi o commenti su altro. Talento inequivocabile come quello di Pierangelo Bertoli che, sul palcoscenico della kermess, porta alcuni suoi brani (“Spunta la Luna dal monte” al Festival di Sanremo 1991 e “Italia d’oro” nel 1992): genio e creatività prima di tutto.
Diritti Lgbtqia+, a Sanremo hanno una storia fuori dall’Ariston
«Non si potrebbe avere tra i co-presentatori un normale papà (uno eh, non due)?». Con queste parole Simone Pillon, già senatore della Lega, nel 2022 si era espresso contro la scelta di Amadeus di avere Drusilla Foer, nome d’arte di Gianluca Gori, tra le cinque co-conduttrici del Festival. «Com’era ampiamente prevedibile, al festival di Sanremo sempre più Lgbt è stata assegnata la quota gender-inclusive già nella fase di scelta dei conduttori» scriveva sui social.
Sanremo è un posto in cui i diritti Lgbtqia+ hanno la loro storia: qui, nel 1972, il movimento FUORI! organizzò la prima manifestazione pubblica per protestare contro il “Congresso internazionale sulle devianze sessuali” al Casinò. Lo stesso anno, a vincere la kermesse, la “profetica” canzone “I giorni dell’arcobaleno” di Nicola di Bari. Più di cinquant’anni dopo, la 75esima edizione del Festival non sembra seguire la stessa direzione: «Quando dico che voglio essere libero, non mi riferisco a ciò che dirò» ha riferito Cristiano Malgioglio – conduttore della seconda serata, insieme a Nino Frassica e a Bianca Balti – in un’intervista al Messaggero e nel corso di una telefonata a La Vita in Diretta. E infatti non parlerà di «identità di genere, libertà sessuale e dei diritti messi in discussione da Donald Trump» dal palco, chiarendo: «Di quegli argomenti lì non voglio parlare. Non mi va di parlare di libertà sessuale: nella mia vita io ho camminato sempre da solo. Trump? Non seguo».
La politica resti fuori dalla kermesse: le premesse sono le stesse ogni anno e vengono disattese in quasi tutte le edizioni. Alla sua vigilia, nelle sue presenze come nelle sue assenze, il Festival sta già raccontando il Paese.
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