Le parole “madre” e “materia” hanno la stessa radice latina -mater: diventare madre crea materia. La gestazione, per la madre, vuol dire farsi ambiente, trasformarsi in un luogo da condividere con una persona che ancora non conosce. “Materia Madre” è la mostra collettiva curata da Margherita Caselli e Paola De Pasquale che indaga percorsi e simboli che legano le donne all’idea di maternità. Realizzata come uno degli eventi della XX edizione di Paratissima, in programma a Torino dal 31 ottobre al 03 novembre, fiera d’arte, ma anche esperienza immersiva che coinvolge più di 350 artisti che spaziano dalle arti visive alle nuove forme di espressione digitale.
In questo contesto il progetto espositivo curato da Francesca Canfora dedicato alle nuove proposte dell’arte contemporanea, vede mettersi alla prova giovani artisti e giovani curatori, per confrontarsi e realizzare una manifestazione autonoma all’interno del variegato palinsesto di Paratissima. Sono sei le differenti mostre curate da quindici giovani curatori, tra cui appunto “Materia Madre”, che attraverso fotografie, dipinti, sculture, installazioni, indaga il concetto di maternità. «La maternità esiste da sempre nel mondo dell’arte, spesso però rappresentata in modo edulcorato, romanticizzato, si pensi banalmente alla storica madonna con bambino riconosciuta universalmente» racconta ad Alley Oop una delle curatrici, Margherita Caselli. «Noi volevamo affrontare il tema in modo più crudo, viscerale, e abbiamo visto emergere dalle opere delle artiste selezionate, il senso di difficoltà, sofferenza, fatica che questo percorso comporta. Ognuna delle nove artiste ha rappresentato il tema secondo la propria sensibilità, e va sottolineato che non sappiamo se tutte loro abbiano esperito la maternità direttamente: non è nostro interesse indagare questi aspetti intimi, quanto loro visione sul tema».
Lara Monica Costa, l’artista che apre la mostra, offre una visione carica di simboli ancestrali, legata agli archetipi della madre e a una ritualità in cui la madre che genera si sovrappone all’immagine di madre natura e al suo potere di contenere e offrire la vita. L’opera “Legami” di Roxana Gambero già sposta il focus in un’altra direzione, forse più vicino a quello della figlia che racconta la madre: attraverso l’impronta solidificata dei centrini all’uncinetto, riflette sulla dualità intrinseca dei legami: fonte di conforto e connessione, ma anche di costrizione e sofferenza. E, da sempre, quello materno, è uno dei legami più ambivalenti che si può sperimentare, sia come figli che, soprattutto, come madri.
«Una delle tematiche più forti emerse da queste opere» prosegue Caselli «è la fatica e lo stravolgimento della vita e della quotidianità che cambia irreversibilmente da un prima un dopo. La maternità è un momento di cesura netta nella vita di queste persone: Teresa Carnuccio ad esempio parla di perdita di sè quando ha avuto la sua bimba, di come abbia perso contatto con la Teresa di prima. In questo senso è emersa una profonda solidarietà fra tutte le artiste: sono entrate in risonanza immediatamente, come se l’espressione di queste istanze fosse quasi nascosta dentro di loro, e chiedeva di emergere. Si dovrebbe riflettere su come spesso la sofferenza della madre passi in secondo piano rispetto alla salute del bambino».
Usa l’ironia, Marta Scavone, per raccontare questa frattura: ma non bisogna lasciarsi ingannare da colori, caramelle e fiori, perchè anche le sue opere di fatto stanno parlando di perdita, di ricerca del sè, tra banconote che volano via e una Venere che in mano tiene un test di gravidanza mentre un metro da sarta penzola molle attorno a un giro vita che presto cambierà forma. Ma come ben sappiamo non è soltanto il corpo di una donna a cambiare con la maternità. Le banconote, appunto, sono un chiaro simbolo di come anche le aspettative e le ambizioni lavorative di una donna vengono ancora drasticamente ridimensionate dalla scelta della maternità.
Le artiste madri in Italia, in quanto lavoratrici autonome, hanno delle tutele molto labili. Ma non è solo la precarietà economica a incidere sulla loro carriera professionale, come continua a spiegare Caselli: «Per le artiste la maternità interrompe una catena creativa, di produzione, di contatti, fondamentali per questo lavoro. Inoltre nel mondo dell’arte, tra gli addetti ai lavori, la maternità è spesso ancora vista in un’accezione negativa. Conosco artiste che si sono sentite dire, durante la gravidanza, che la loro produzione creativa sarebbe diminuita a causa degli ormoni. Per non dire poi di quanto il mondo dell’arte sia non accogliente per le madri con bambini piccoli: orari di apertura, opening serali. Esistono studi e collettivi che denunciano queste criticità: cito il lavoro di Hettie Judah, o il collettivo di Praga Mothers Artlovers, il cui lavoro mi ha per la prima volta avvicinata a questo tema. È necessaria una riflessione anche su questi aspetti più socio-economici».
“Come non escludere le madri artiste (e gli altri genitori)” è il titolo del libro di Hettie Judah, purtroppo non tradotto in Italia. Una riflessione da fare, certamente, accompagnandola alla riflessione sulle intime implicazioni del materno per ogni donna, attraverso cui questa mostra conduce con delicatezza e fermezza.
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