Turismo di massa. Mega-eventi. Overtourism. Concetti che, in particolare questa estate, sono ormai diventati parte del vocabolario comune. Dalle misure preventive per gestirli, implementati in alcuni luoghi – Amsterdam, Barcellona e Venezia in testa -, ai disastri ambientali che condizionano territori e viaggiatori. Ne leggiamo soprattutto in termini di costi per l’ambiente e pericoli per le strutture storiche. Mentre è un po’ meno approfondito lo sguardo sull’impatto per le comunità. E, ammettiamolo, quasi per niente in termini di sfruttamento e violenza sui bambini.
Mancano solo sei anni dal traguardo di Agenda 2030, “il programma di azione per le persone, il pianeta, la prosperità” sottoscritto il 25 settembre 2015 da 193 governi membri dell’ONU. Eppure, citando la rappresentante speciale del segretario generale per la violenza sui bambini, Dr. Najat Maalla M’jid, «siamo in ritardo. I numeri sono fermi e solo allarmanti».
Alley Oop 24 ha avuto la possibilità di discutere con la rappresentante speciale della situazione, guardando in particolare al ruolo svolto dall’industria del turismo, in occasione della sua visita in Italia per la promozione dell’iniziativa ONU “Unlock Futures Think Tank. Protecting Children in Travel, Leisure & Entertainment” organizzata in collaborazione con il The Bicester Collection all’interno del programma quasi 30ennale, DO GOOD per il supporto alle comunità, ai bambini e l’emancipazione.
«No country is immune. No child is immune»
Parlando di violenza sui bambini, lavoro minorile e sfruttamento infantile, per la dottoressa Maalla M’jid la situazione è chiara: «Nessun Paese, nessun bambino risulta immune. Ci sono bambini discriminati, imprigionati, vittime di violenza domestica, di bullismo online e di traffico umano. È allarmante vedere la moltitudine di crisi che si sovrappongono e quanto cresca il numero di minori non accompagnati, separati (dalle famiglie) o che vivono sulle strade anche nei paesi benestanti. Crisi climatica e i disastri naturali, evacuazioni, insicurezza alimentare… Non si tratta di un problema del sud del mondo. È un problema globale».
Per dare un contesto alle parole della rappresentante ONU, basti ricordare che, secondo i dati disponibili, un bambino su sei nel mondo oggi vive in povertà estrema. Un miliardo è esposto ai rischi legati al clima e in 47 milioni hanno lasciato le proprie abitazioni a causa di conflitti in corso. Inoltre, 250 milioni di ragazzi non frequentano la scuola; 160 milioni circa sono a rischio di sfruttamento sessuale o di lavoro minorile; e una media del 15% dichiara di essere vittima di bullismo online. Davanti a simili numeri, intervenire per fermare le forme di violenza di questo tipo, non è mai sembrato così cruciale. Certamente perché è moralmente corretto, ma – per quanto possa apparire cinico – anche perché ha un impatto e implicazioni dirette molto più ampie in termini economici, sulla crescita dei Paesi e, a cascata, sulla salute generale e i costi a questa relativi.
In tutto questo, il settore turistico sta giocando un ruolo chiave, esplorato durante l’evento a Milano a cui è intervenuta la dott.ssa Maala M’jid. Pediatra di formazione, la rappresentante ONU, che da oltre 30 anni si dedica alla promozione e protezione dei diritti dei bambini, ha ricordato l’impegno, preso 8 anni fa, proprio dal comparto del turismo «nel garantire che nei loro modelli di business, nei comportamenti, nelle pratiche, la protezione e il benessere dei bambini siano adeguatamente integrati. Nel frattempo, purtroppo, è arrivata la pandemia che ha intaccato i livelli raggiunti da alcuni in termini di sviluppo sostenibile. Il mondo si è fermato e il settore, come sappiamo, ne è stato pesantemente colpito. Quando la ripresa è iniziata, molte, molte delle cose che erano state fatte, sono rimaste indietro».
Da qui, che fare? Secondo Maalla M’jid, «Attraverso Agenda 2030 per lo sviluppo, dobbiamo ripensare al turismo e ai viaggi in modo sostenibile. Si tratta di un’opportunità anche per meglio capire cosa sia la sostenibilità. Non è solo green, non è solo azzerare l’uso della plastica. È anche portare al centro lo sviluppo centrale delle persone, contribuire allo sviluppo delle comunità e alla protezione dei bambini. E affrontare i fattori di rischio legati al settore – pensiamo allo sfruttamento sessuale e al traffico di esseri umani, per esempio.»
In concreto, continua la rappresentante speciale, è tempo di «mobilitazione, di tradurre gli impegni presi in azione. In ottobre, al prossimo incontro del World Travel & Tourism Council (WTTC, il consiglio internazionale del viaggio e del turismo) lavoreremo per assicurarci di questo. Il mio mandato, è quello di supportare che i principi siano trasformati in azioni, in modelli di business per il comparto e tutta la catena del valore».
Cosa sta funzionando e cosa resta da fare
Guardando al settore, chiave per lo sviluppo di molti Paesi, la rappresentante ONU conferma l’impegno di quelli che stanno usando proprio il turismo in chiave di sostenibilità ambientale, includendo la dimensione sociale e utilizzandolo come strumento di emancipazione economica per rilanciare la loro crescita. Di contro, continua Maalla M’jid, «Purtroppo, per altri, non è questo affatto il caso. È difficile dire se il bilancio generale è positivo o negativo. Ma a essere sinceri, i numeri sono fermi e i dati allarmanti. Se alcune risposte non mancano e molti si stanno attivando, il problema resta come (scalare) le singole iniziative? Come responsabilizzare quelli che si sono presi l’impegno?».
Seguendo alcune tendenze di successo, non si può nascondere come in tante parti del mondo l’industria del turismo sta effettivamente lavorando già in partnership con le autorità locali e i governi per offrire una crescita migliore e sostenibile che tenga conto, tra l’altro, del benessere dei bambini, nello specifico – a contrasto dello sfruttamento e implementando la protezione dell’infanzia. «Recentemente – racconta la rappresentante ONU – ero in Costa Rica a un’incontro con diversi rappresentanti dell’America latina. Nella regione c’è una spinta positiva importante in avanti proprio in termini di relazioni tra settore privato e pubblico che mirano alla crescita economica e delle persone. Se puntiamo a proteggere i bambini, a prevenire tutti i tipi di violenza, dobbiamo assicurarci di combattere la povertà, creando lavoro, garantendo salari adeguati. Lavorando per i diritti anche contro gli espropri e nel rispetto delle culture indigene».
Processi decisionali inclusivi e l’assunzione delle dovute responsabilità sono, certo, parti della soluzione. Ma non possiamo dimenticare che pratiche violente contro gli esseri umani sono crimini. Non tenerne adeguatamente in considerazione, non mettere in atto pratiche e percorsi di denuncia solidi, quindi, può significare il fallimento degli altri interventi. Ribadisce anche Najat Mallala M’jid, come in questo il settore privato può aiutare, accompagnando le politiche di cambiamento in qualità di partner. «Non si tratta di atti caritatevoli. Si tratta di responsabilità. Di diritti umani. E di spingere l’agenda per assicurare protezione dei bambini, benessere ed equità».
Il ruolo dell’istruzione per lo sviluppo
Ecco allora chiaro quanto la partnership tra il settore pubblico e privato possa essere decisiva. Conferma Mallalla M’jid, che può anche influenzare, entrando a pieno diritto, in un altro ambito fondamentale qual’è l’istruzione dei bambini. In alcune aree «si sta già intervenendo in questo senso con borse di studio. O sostenendo riforme dell’istruzione che vanno oltre la scolarizzazione. O ancora lavorano con programmi sulle comunità e che interessano la società civile. Dobbiamo certo prevenire il crimine e anche contribuire allo sviluppo di un Paese. Perché l’accesso all’istruzione non è solo costruire scuole, ma assicurare un’educazione di qualità. Equa. Inclusiva e sicura – offline come online».
In una prospettiva ampia, allora, affrontando le tante sfide legate al tema dell’abuso e della violenza sui bambini non dobbiamo pensare si tratti di “aiutare persone povere”, o organizzare un intervento singolo e poi dimenticarcene. È cruciale pensare in termini di partnership. A qualsiasi livello – personale, dei media, delle comunità o come comparto turistico, per esempio.
Aggiunge la rappresentante speciale ONU, «dobbiamo essere tutti molto coscienti delle diverse situazioni. Sempre più persone fanno volontariato. Ma alcuni, vedendo “i poveri bambini negli orfanotrofi”, nelle favela, non si rendono conto del danno che invece fanno. Senza poi citare quelli che invece proprio sfruttano i bambini senza controllo».
Viaggiare è un attività che interessa numeri sempre più importanti. Con l’espansione dei suoi volumi, la violenza può più facilmente passare inosservata. «Per qualcuno – chiude il nostro dialogo la dott.ssa Maalla M’jid, – è diventata purtroppo normale. Per questo la denuncia di fatti criminali è fondamentale. Dalla sua parte, il comparto del turismo con la sua catena del valore, deve segnalare (ed essere consapevole) dei rischi. Altrimenti siamo compiacenti. Diventiamo complici. Dobbiamo (tutti) smetterla di essere reattivi. E diventare – finalmente – pro-attivi».
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