Le italiane emigrano. Oggi sono sempre di più quelle che lasciano il bel Paese non più solo per seguire un partner o riunire la famiglia. Ma da sole, richiamate da migliori opportunità di lavoro e di carriera e anche per costruirsi una loro indipendenza. Tra le tutte le laureate, quelle che partono sono il 5%. Ma guardando a chi tra loro ha completato studi STEM, la percentuale di quelle che lavorano all’estero sale al 6,1%*.
In generale, la grande differenza dei flussi dall’Italia oggi rispetto al passato, non sta tanto nei numeri di quelli che partono, ma nella preparazione che hanno. Da almeno 15 o 20 anni infatti lasciano l’Italia laureati e professionisti specializzati. Molti di loro nemmeno giovanissimi.
Riferendosi ai dati Aire (l’anagrafe degli italiani all’estero) – numeri per molti grandemente sottostimati -, sarebbero oltre 6 milioni gli italiani registrati come residenti oltre confine. Una presenza cresciuta, dal 2006, del 91%. Le stime riportano, in particolare poi, che è raddoppiato il numero delle donne espatriate (99,3%). Secondo i dati Istat, poi, nell’ultimo decennio si sarebbero trasferiti complessivamente 377mila giovani tra 20 e 34 anni, diretti soprattutto verso uno dei Paesi europei economicamente più avanzati. Di questi, il 30% ha completato gli studi universitari, percentuale superiore al numero dei laureati totali nella fascia di età tra i 20 e i 39 anni.
evidentemente l’Italia del XXI secolo si conferma “fornitrice” di capitale umano, patria da cui si parte con un bagaglio culturale e un livello di istruzione alti. E, nonostante ancora sotto la media generale europea, rispetto al passato con una certa conoscenza almeno dell’inglese (mediamente lo scrive il 60% di tutti i laureati e lo parla il 57,4% con un livello B2).
Le laureate in Italia
Con una tra le peggiori percentuali di occupazione femminile, alti tassi di abbandono del lavoro alla nascita già del primo figlio e una cultura professionale che fatica a consolidare tutti i passi in avanti fatti in materia di parità di genere, dalla promozione in base ai meriti non al genere alla conciliazione e al pay gap, andare all’estero per un sempre maggior numero di giovani italiane rappresenta un’alternativa più che interessante.
Dopotutto, le italiane che ottengono la laurea sono numericamente più dei compagni di studi (secondo il più recente rapporto AlmaLaurea, nel 2022 rappresentano il 59,7% del totale). Finiscono prima – mediamente a 25,5 anni, ma nel 27,5% dei casi prima dei 23; e restano nei tempi previsti – il 64,9% era in corso rispetto al 58,9% dei maschi. Interpellate sulle prospettive e aspettative lavorative dopo laurea mostrano la stessa apertura segnalata dai compagni nell’avere contatti con l’estero (41% per entrambi i generi). Ma segnalano un interesse maggiore nella possibilità di utilizzare al meglio le competenze acquisite durante gli studi (lo affermavano il 66% delle laureate e il 55,2% dei laureati).
Certo non si può dire se sia direttamente conseguenza proprio di questi desideri, ma non è difficile immaginare che molte, finito il percorso di studi, davanti alle caratteristiche del mercato del lavoro italiano, si trovano seriamente a valutare le possibilità offerte oltre il confine di continuare un percorso nel loro campo di specializzazione e accumulare esperienza internazionale.
Il 4,8% lo fa per davvero. Si tratta di un punto percentuale in meno rispetto ai laureati uomini. Distacco che però si dimezza riferito agli ambiti STEM: le lavoratrici italiane all’estero in possesso di una di queste lauree, sono il 6,1%, contro il 6,6% degli uomini. Seppure di piccola entità, si tratta di un dato interessante in una prospettiva allargata. Stando ai dati McKinsey, in Italia le laureate in una materia scientifica, tecnologica, ingegneristica o matematica sono il 38% del totale.
Il futuro del lavoro è STEM
La domanda di profili scientifici è in grande crescita e seppure non è compensata ancora in nessuno degli stati UE dal numero di laureati uomini o donne, stanno aumentando le professioniste impiegate nel tech. Calcola la Commissione che, nei settori scientifici e di ingegneria, secondo le ultime rilevazioni disponibili, le donne rappresentano il 41% degli occupati. Si va dal picco del 46% nei servizi al 22% registrato nel settore manifatturiero, con una variazioni importante tra le aree all’interno della UE, dal 53% in Danimarca al 31% in Ungheria. Guardando ai numeri di eurostat poi, nonostante le ingegnere e scienziate siano ancora sotto rappresentate, il loro numero è raddoppiato negli ultimi dieci anni, passando dai circa 5 milioni nel 2012 ai 7,3 milioni del 2022.
L’Italia resta indietro. Con questi dati in mente e considerando come il nostro sia uno tra i Paesi peggiori nel continente in tema di occupazione femminile, disparità salariale basata sul genere, opportunità di carriera e di conciliazione tra lavoro e impegni di cura, non sorprende che tante italiane, e ancora di più se hanno alta qualificazione e studi scientifici, guardino all’estero e a società che stanno impegnandosi di più nell’attirare i profili migliori.
Si legge nell’ultimo rapporto Migrantes: “è proprio il discorso legato alla carriera a spingere molte donne, spesso con elevate competenze professionali, a spostarsi verso Paesi con meno barriere di genere che ostacolano loro l’accesso alle posizioni di responsabilità, o ad alti livelli retributivi”. Una delle cause più rilevanti della “fuga dei cervelli” è proprio il “mancato sostegno e valorizzazione dell’occupazione femminile, una delle cause principali del calo delle nascite”.
Il rientro dei talenti – che non c’è
L’Italia non attrae, né sembra star sviluppando condizioni che invoglino a restare. O a far tornare i talenti emigrati che ha formato. Se infatti continua a crescere il flusso di quelli che se ne vanno, per ora non sembrano essere state particolarmente efficaci le misure pensate negli anni per richiamare in patria gli italiani dall’estero.
L’ultima modifica delle agevolazioni fiscali offerte a coloro che volessero rientrare dopo anni passati all’estero, risale a dicembre 2023. Dal 1 gennaio, “Il provvedimento rende più stringenti i vantaggi per gli impatriati da gennaio: la riduzione della tassazione del 50% (il 60% se chi rientra ha almeno un/a figlio/a minore, ndr), entro un limite di reddito agevolabile pari a 600.000 euro, per i lavoratori con requisiti di elevata qualificazione o specializzazione. Inoltre le nuove regole prevedono poi che i lavoratori possano beneficiare degli sgravi per cinque anni solo se non sono stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il trasferimento (e non più due). Si devono inoltre impegnare a risiedere fiscalmente in Italia per almeno cinque anni.”**
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* Secondo gli ultimi dati AlmaLaurea disponibili.
** Estratto da Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2023
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