Sono 736 milioni al mondo le donne vittime di violenza fisica e/o sessuale. Una pandemia silenziosa, i cui confini sembrano solo accennati dalle statistiche, secondo molti, tra l’altro, sottostimate. Una emergenza che costerebbe, stando alle stime Onu 1.5 miliardi di dollari a livello globale. E 366 milioni di euro l’anno nella sola Ue (dati Eige).
«La prevalenza diffusa della violenza domestica e degli abusi sessuali, e l’impatto dannoso sulle sopravvissute, le famiglie, le comunità e le economie, ci continuano a ricordare che è urgente agire. Per troppo tempo e troppo spesso ci è stato detto che è impossibile» fare qualcosa, chiosava la segretaria generale del Commonwealth Patricia Scotland intervenendo a Londra appena qualche giorno fa. «Oggi, rifiutiamo questa idea e diciamo NO MORE, perché insieme possiamo».
Dal palco dell’evento organizzato dal Commonwealth, a cui è anche intervenuta la Regina Camilla, veniva rilanciata l’iniziativa “The Commonwealth Says No More”. Prima nel suo genere per portata e coinvolgimento internazionale, questa piattaforma supporta i 56 membri dell’organizzazione intergovernativa fornendo raccolte dati sulle violenze, informazioni sui progetti di educazione delle diverse comunità, contatti e strumenti utili per riconoscere i casi e intervenire anche a livello personale contro la violenza sulle donne. E proprio dell’evento a Londra arrivano esempi di best practice nati in luoghi a cui immediatamente non si penserebbe in tema di rispetto dei diritti.
È il caso della Sierra Leone che, grazie alla campagna “Hand Off Our Girls” e l’impegno della first lady, Fatima Maada Bio, ha visto passare la pena per sturpo da quattro mesi a 15 anni. O del Rwanda di cui è stato raccontato il successo della diffusione delle cliniche mobili per raggiungere le zone più remote del Paese.
Le abitudini e la cultura
Per quanto cruciali specialmente per il cambiamento che instaurano, i singoli successi non controbilanciano né devono nascondere una situazione globale in peggioramento da anni. Con l’Europa che in questo scenario non si distingue come modello virtuoso. L’Unione risulta carente già nella raccolta di dati aggiornata sulla violenza di genere. L’ultima indagine sovranazionale risale infatti al 2018 e la prossima verrà pubblicata nel 2024. Intanto aumentano un po’ ovunque nel continente i casi con gli esiti più estremi. Lo si vede bene in Italia, dove non passa settimana senza che i media riportino notizie di ragazze e donne vittime di violenze raccapriccianti molto spesso perpetrate da familiari, partner o ex.
Non va meglio in Germania dove a inizio novembre la polizia federale ha diffuso i dati 2022 sugli abusi domestici. Rispetto all’anno precedente sono in crescita dell’8,5%, per un totale di 240,547 vittime. La tendenza è rialzo da almeno 5 anni nei Länder, ma – sottolineano gli ufficiali tedeschi – quasi sicuramente siamo di fronte a una grande sottostima perché moltissime donne non denunciano per paura o vergogna. Scelta personale di non denunciare che si tratteggia di una connotazione molto reale leggendo i risultati di un recente sondaggio effettuato da Plan International Germany. Secondo i dati raccolti, il 33% degli uomini tra i 18 e i 35 anni intervistati ritiene accettabile che durante una discussione con la partner, occasionalmente gli possa “scappare la mano”. Il 34% ammette di essere stato in passato violento contro le donne.
Sembrava migliorata la situazione in Grecia. Qui la pandemia aveva portato a l’incremento peggiore delle violenze sulle donne (oltre il 187% nel 2021) legate probabilmente al venire meno del controllo di molti uomini in ambienti circoscritti durante i lockdown. Se a inizio anno la nazione era stata elogiata per lo sforzo nel contrastare questo dramma, però sono tornate le preoccupazioni riguardo all’implementazione delle misure adottate – tra cui l’aumento delle forze dell’ordine dedicate alla risposta alla violenza di genere o i cambiamenti introdotti nel quadro giuridico. Nel Paese mancano centri di crisi anti-stupro e/o violenza sessuale, resta basso il numero di condanne per stupro, ed esistono solo 20 centri asccoglienza per vittime, per un totale nazionale di 450 posti letto.
Cosa fare? Chi fa meglio?
Contro la violenza domestica e sessuale, le misure da attuare immediatamente e in maniera estesa sono ormai condivise e riconosciute. All’implementazione di legislazioni che preservino il principio di uguaglianza davanti alla legge nel terminare la violenza (in particolare) di genere, è indispensabile e urgente anche:
- fornire programmi di educazione sessuale già dall’infanzia per smantellare le norme culturali esistenti;
- offrire servizi legali, di counselling, supporto alla salute fisica e mentale che garantiscano anche un sostegno “non giudicante”;
- impostare campagne di sensibilizzazione per gli uomini, indirizzate al loro diretto e maggiore coinvolgimento.
Per quanto in modo ancora sporadico, alcuni Paesi stanno attivamente implementando questi concetti e indirizzando i loro sforzi per colmare le lacune. E per quanto si tratti di casi limitati, due esempi virtuosi arrivano proprio dall’Europa.
In Svezia, nazione da anni sempre tra le prime per livelli raggiunti di parità di genere sotto praticamente tutti gli indicatori, esiste una strategia nazionale decennale (2017-2016) per combattere la violenza di genere. A questa si accompagnano una serie di best practices specifiche negli ambiti di educazione e cura per vittime e carnefici.
Più di recente, la Spagna ha mostrato un impegno chiaro attraverso la sua “Estrategia Estatal para combatir las violencias machistas 2022-2025”. Modificando la legislazione, il Paese ha reso obbligatoria la raccolta ufficiale specifica di casi di violenza perpetrati da uomini su donne e bambini (primo caso in Europa). Lavorando sulla prevenzione e per eradicare la violenza, si possono tracciare con più definizione i confini delle violenze di genere. E ottenere risultati sul medio-lungo periodo, aiutando meglio, inoltre, le vittime a fare scelte informate riguardo alla loro sicurezza.
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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.
Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.
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